𝐈𝐥 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐨𝐝𝐢𝐚𝐭𝐨?

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Lassie POV:
Eravamo tutti in salotto, o meglio, noi pet eravamo confinati nella nostra stanza privata. Io, come sempre, poppavo dalla tetta di Red, senza troppo entusiasmo. Nonostante tutto il tempo passato insieme, continuavo a non sopportarlo. Era come se la mia diffidenza nei suoi confronti non fosse mai svanita, anche se ormai ci avevo fatto l'abitudine. Le ultime settimane erano state tranquille, nulla di particolarmente nuovo o interessante. Solita routine, soliti volti. L'unica vera differenza era Miles, ma non c'era verso che mi piacesse. Ogni fibra del mio corpo mi diceva di stargli alla larga, e non sapevo nemmeno il perché.
La mia "famiglia" non mi sembrava tale. Ero ancora un'estranea tra di loro, e per quanto potesse sembrare triste, a me andava bene così. Loro mi ignoravano, e io potevo godermi quel poco di pace che trovavo parlando con Sam. Anche se, ultimamente, lo vedevo sempre meno a causa degli allenamenti. E poi c'era Miles, sempre tra i piedi, sempre a chiedere la mia attenzione. Quel poco di tempo che avevo per me, dovevo spenderlo con la famiglia, come in questo momento <<Famiglia, occhi su di me!>> La voce di Dante ruppe il silenzio, gelida e imperiosa. Ogni volta che parlava, metteva ansia <<La prossima settimana inizia 'Fiera dei pet', quindi sapete cosa significa>>Non avevo la minima idea di cosa volesse dire, e mi girai verso Red, cercando risposte <<È una presentazione>> mi spiegò sottovoce. <<I padroni mostrano i loro pet, vecchi e nuovi>> Avevo capito? No. E sinceramente, non mi interessava nemmeno.

Dante continuava, impassibile: <<Terra, sarà la tua prima presentazione. Guarda attentamente tua sorella Shila, così capirai come funziona>> Terra annuì in silenzio, troppo spaventata per fare altro. <<Kora>> proseguì, il tono ancora più duro, <<stai attenta alla tua caviglia. Se ti fai male di nuovo, resterai ferma altre due settimane, e allora sarai solo un peso inutile>> Kora abbassò lo sguardo, annuendo nervosamente. Dante non aveva pietà per nessuno <<Celestia>>tuonò ancora, <<questa volta non voglio vedere litigi. E tu, Lexie, cerca di essere più cordiale durante le foto. L'ultima volta abbiamo ricevuto lamentele. Se ti dicono di fare una posa, TU STAI ZITTA E FAI QUELLO CHE TI DICONO!>> Il suo sguardo si fece tagliente, e Lexie si ritrasse, abbassando la testa. Cercò conforto negli occhi di Red, ma lei la guardò con una freddezza che non lasciava spazio a speranza.
Poi Dante mi rivolse lo sguardo. Sentii un brivido lungo la schiena quando mi afferrò con decisione, sollevandomi come se fossi solo un oggetto. <~E tu, piccola di papà>> disse, la sua voce leggermente più morbida ma non meno autoritaria, <<quest'anno starai con il tuo padroncino e guarderai. Parteciperai il prossimo anno>> Avrei voluto ribellarmi, scappare via, ma la sua presa era salda. Non c'era via di fuga.

Infine, si voltò verso Denver. Lo sguardo che gli riservò era ancora più duro. <<Denver>> disse con una lentezza calcolata, <<se fai come l'ultima volta e attacchi qualcuno, ci rovinerai tutti.>> Denver annuì senza dire nulla, ma Dante non era il tipo che tollerava silenzi. <<PARLA!>> ruggì. <<Ho capito>> rispose Denver, quasi urlando per la paura. Poi, in un soffio appena udibile, aggiunse: <<Come se tu fossi diverso.>> Ma lo sentimmo tutti, Dante non ci pensò due volte. Mi lasciò tra le braccia di Red e si avvicinò a Denver con un passo minaccioso. Senza una parola, gli mollò uno schiaffo che risuonò nella stanza. <<Tu non sei me e non lo sarai mai. Mettilo bene in testa>> Le parole uscirono taglienti come lame. Denver vacillò, il viso arrossato, gli occhi che luccicavano. Per un attimo provai pietà per lui. Era così evidente quanto fosse fragile sotto quella facciata di durezza. Eppure, non capivo perché volesse tanto essere come Dante. Perché desiderava emulare qualcuno che lo trattava come niente? Dante senza dire nulla si tolse davanti a lui la cintura, e notai un leggero sorriso quasi divertito che a breve lo avrebbe punito, Denver si alzò, sapeva cosa stava per accadere provo a dire qualcosa ma Dante gli rifilò un'altro schiaffo così senza più possibilità di parola si distese sul panchetto al centro della stanza, davanti a tutti, guardai gli altri miei mezzi fratelli, chi guardava in bassa e chi cercava di concentrarsi su altro, Felia aveva uno sguardo seccato, Red mi accarezzava in modo che evitassi di guardare o di farmi tranquillizzare mentre Trixie la madre di Denver aveva uno sguardo deluso
Dante, senza dire una parola, si tolse lentamente la cintura. Il rumore del cuoio che scivolava attraverso i passanti dei pantaloni fece calare il silenzio nella stanza. Notai un leggero sorriso sulle sue labbra, quasi divertito all'idea di ciò che stava per accadere. Denver, pallido, si alzò in piedi. Sapeva esattamente cosa lo aspettava. Provò a dire qualcosa, forse per giustificarsi, ma Dante lo zittì con un altro schiaffo, secco e definitivo. Senza più possibilità di parola, Denver si distese sul panchetto al centro della stanza, davanti a tutti noi. Guardai gli altri, i miei mezzi fratelli. Ognuno reagiva in modo diverso. Alcuni abbassavano lo sguardo, cercando di non essere coinvolti, mentre altri fissavano il vuoto, cercando di distrarsi, di essere altrove. Felia aveva uno sguardo visibilmente infastidito, come se tutto ciò la irritasse profondamente, mentre Red mi accarezzava delicatamente. Non era un gesto di conforto, ma più un modo per evitare che guardassi la scena o forse per tranquillizzarmi, anche se il suo tocco non serviva a calmarmi. In tutto questo, Trixie, la madre di Denver, osservava suo figlio con uno sguardo carico di delusione, come se quella punizione fosse il segno di un fallimento personale, un tradimento al loro legame.
Il primo colpo arrivò all'improvviso, facendomi sussultare. Il rumore della cintura contro la pelle di Denver riempì l'aria, e un leggero mugolio sfuggì dalle sue labbra. Il secondo colpo seguì, questa volta meno forte, come se Dante stesse calibrando la sua forza, giocando con il dolore. Poi il terzo, più violento del primo.

Ogni colpo sembrava essere un test, quasi un esperimento, per capire come reagisse Denver, per misurare quanto poteva sopportare. Dante andava avanti così, ritmicamente, come se cercasse di trovare il giusto equilibrio tra punizione e tortura. Denver cercava disperatamente di mantenere il controllo, di non cedere alle lacrime, ma le sue guance erano ormai rigate da quelle silenziose, segrete. I colpi erano forti, sordi, e risuonavano nella stanza, colpendo tutti noi in modo invisibile. Ognuno di noi sapeva cosa significava quel dolore, lo conosceva bene, ma nessuno poteva sapere cosa stesse passando nella mente di Denver. I suoi pensieri erano prigionieri della sua sofferenza, inaccessibili a chiunque altro.

Denver pov:

Papà andò avanti per quello che mi sembrò un'eternità, ma forse furono solo dieci minuti. Dieci minuti di dolore, di colpi che mi spezzavano il fiato. Non era solo per quella frase che mi stava punendo. No, c'era dell'altro, qualcosa di più profondo, un rancore che sentivo ma non riuscivo a comprendere. Sapevo solo una cosa: mi odiava. Lo vedevo nei suoi occhi, lo sentivo in ogni colpo.

<<Alzati. Ho finito>>disse alla fine, con quella voce fredda e distaccata. Mi tirai su, lentamente, cercando di ignorare il bruciore sulla schiena. Mi rimisi i boxer e i pantaloni, poi assunsi la posizione: mani dietro la schiena, gambe leggermente divaricate. Quella era la regola. Quella era la nostra vita. <<Fila in camera tua e non farti più vedere>> aggiunse, spingendomi via. Non risposi. Non osai. Andai in camera senza dire nulla.

Appena chiusa la porta, mi lasciai cadere sul letto. Volevo urlare, sfogare tutta la rabbia che avevo dentro, ma sapevo che se l'avessi fatto, sarei tornato da capo, con nuove punizioni. Sentii la porta aprirsi, e la voce di mia madre spezzò il silenzio <<Mi hai deluso, figlio mio>> Mi girai verso di lei. Mamma era lì, seduta accanto a me, il suo sguardo severo, ma con un velo di tristezza. Mi voltai di nuovo dall'altra parte, non volevo parlare. Non con lei, non ora.

<<Mi hai messo in imbarazzo>>continuò, e poi iniziò a carezzarmi i capelli. Il suo tocco mi faceva male, perché sapevo che cercava di essere affettuosa, ma io mi sentivo solo colpevole. <<Scusami, mamma. Non volevo>> risposi con un filo di voce. Ma dentro di me non ero sicuro di quello che provavo.
<<Perché devi comportarti sempre così?>> chiese, ma prima che potessi rispondere, la vera domanda che mi rodeva dentro emerse senza preavviso. <<Lui mi odia, vero?>> Mamma sospirò. Era un sospiro che conoscevo bene, quello che faceva quando cercava di nascondere una verità troppo dura da dire. In quel momento, mi chiesi se anche lei mi odiasse, o se semplicemente mi amasse meno rispetto agli altri miei fratelli, visto che ero sempre io a essere sgridato <<Non ti odia>> disse alla fine. <<Ti vuole bene, lo mostra solo a modo suo>> Non risposi. Non credevo a quelle parole, ma non volevo nemmeno discutere. Mi limitai ad annuire, solo per farla smettere di parlare. <<Sono stanco, mamma. Domani mi sveglio presto>>dissi, girandomi dall'altra parte. Mia madre restò lì per qualche secondo, in silenzio. Poi si alzò e uscì dalla stanza, lasciandomi solo con i miei pensieri e il silenzio. 

𝑪𝒂𝒕𝒆𝒏𝒆 𝒆 𝒐𝒓𝒅𝒊𝒏𝒊Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora