Oggi è un giorno come altri. Il lavoro che faccio non è più duro di quello che svolgeva mia madre in fabbrica, ma è piuttosto ripetitivo. Quando non mi occupo di supervisionare l'integrità della struttura, periodicamente, vengo spedita a sanificare i condotti di aerazione con spazzole meccaniche specializzate. I patogeni vengono distrutti, l'aria liberata dalle malattie, e grazie a questo processo Babel può vivere un'esistenza tranquilla e la OxyGen può continuare a tenere la situazione sotto controllo.
Pensavo che venire a lavorare qui fosse un ottimo mezzo per raggiungere il mio scopo, ma la verità è che tutti i miei colleghi sembrano tenersi alla larga da me. Vedo le occhiate che mi lanciano mentre sono indaffarata, e quando le ricambio loro mi voltano le spalle facendo finta di nulla. Non sono qui per fare amicizia e quindi la cosa non mi disturba, ma mi chiedo per quale motivo siano così schivi.
Stamattina, finalmente, uno di loro si avvicina. Al momento è in pausa, sta sorseggiando un caffè, e mentre io mi occupo di stringere saldamente i bulloni di una tubatura che trasporta il calore, altro metodo usato per la bonifica dell'aria, lui si ferma a qualche metro da me, con un sorriso un po' impacciato in volto.
«Buongiorno. Tu sei Neera, vero? Quella nuova.»
Forse sono un po' rude quando storco le labbra in una smorfia e lo guardo dal basso. «Sono qui da un po' di tempo, in realtà. Grazie per avermi finalmente notata.»
Lui si lascia andare a una risatina nervosa. «Oh, scusami. Sai... nessuno di noi vuole essere scortese.» riprende a dire, il che mi lascia intendere che il loro evitarmi non sia una casualità, ma un'azione premeditata, «Mi sentivo in colpa, vedendoti sempre da sola. Forse potremmo pranzare insieme qualche volta. Sai, conoscevo tua sorella. Le somigli molto.»
Le sue ultime parole attirano la mia attenzione, tanto che lascio perdere i bulloni e la chiave inglese e mi rialzo come una molla. «Cosa sai di lei?» gli chiedo di getto.
Fa un passo indietro. Forse l'ho spaventato. Ma poi fa di nuovo quel risolino imbarazzato e continua a parlare anche se ha rischiato di versarsi il caffè sull'uniforme da lavoro.
«Conoscevo bene Sanna. Era amica di tutti, qua. Una ragazza davvero dolce.» sospira poi, gli occhi che vagano ben oltre me, in un passato non troppo remoto, «Mi dispiace per cosa le è capitato. Non deve essere stato facile per lei, né per voi.»
Stavolta sono io a muovermi, avanzando verso di lui. «Che intendi dire con "cosa le è capitato"?»
«Be'... la follia, naturalmente. Mi è sempre sembrata una donna intelligente e in salute, è un peccato che sia impazzita.»
Sento ogni osso del mio corpo tremare, e il sangue mi si gela nella vene anche se qui dentro non fa freddo. «Impazzita?» ripeto, come ipnotizzata.
«Quando è tornata dal suo ultimo turno di pulizia nei condotti, era pallida come un fantasma e blaterava parole senza senso. So che è corsa dritta dal capo dipartimento, e abbiamo sentito cosa è successo nell'ufficio. Gridava come una matta – perdonami il termine – e diceva di aver imboccato il condotto sbagliato e di essersi ritrovata al depuratore principale. Sai, quello che purifica l'aria grigia che c'è fuori dalla Cupola. L'aveva trovato spento, a quanto diceva, e non da poco! Ci pensi?» fa un'altra risatina, «Se fosse spento, tutta Babel sarebbe una grande Capsula dell'Addio. Saremmo morti da tempo.» quasi trova divertente l'idea, «Il capo dipartimento le ha detto che non era possibile, che la OxyGen conduce ricerche sull'esterno e che l'unico posto sicuro è dentro la Cupola. Sanna deve essersi arrabbiata, perché abbiamo sentito il superiore gridarle di mollarlo. Lei ha continuato a insistere, e lui ha chiamato le autorità della OxyGen. Gli agenti si sono presentati qui in pochi minuti, l'hanno presa in custodia e il capo dipartimento ha spiegato ciò che era successo, mentre lei continuava a sbraitare che non c'è nessun depuratore attivo e che quindi l'aria fuori dalla Cupola è perfettamente respirabile e siamo tutti prigionieri di Babel. Gli agenti l'hanno portata via, alla sede principale per quanto ne so, e nessuno di noi l'ha più vista.» sospira alla fine. «Dev'essere scappata, o forse l'hanno dovuta portare alla Capsula dell'Addio. In ogni caso è una vera tragedia. Sembrava stare bene... nessuno pensava che avrebbe gridato tante blasfemie contro la Cupola.»
Lui le chiama blasfemie. Io, che conosco Sanna da quando sono nata e so quanto mia sorella fosse onesta e giusta, le chiamo scoperte. La chiamo verità.
Un depuratore spento, come aveva detto lei, può significare solo una cosa: è passato così tanto tempo dal Disastro della Caldera che potremmo uscire dalla Cupola ed essere liberi di vagare nel vero mondo, in tutti i continenti di cui ho letto nei libri. Ma significa anche che mio padre è morto per una causa futile, un capriccio di un leader ricco che brama solo altri soldi, e che ci ha assoggettati per più di un intero secolo.
OxyGen ha salvato i miei avi, una volta, ma adesso sta condannando a morte i miei parenti. E io non resterò a guardare mentre lo fa.
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Sotto la Cupola
Science FictionCentoventotto anni fa la OxyGen Corporation ha salvato una piccola parte della specie umana dall'eruzione del vulcano Yellowstone, invitando i pochi eletti nella città di Babel, sotto una cupola protettiva che viene venerata come una divinità dagli...