Capitolo dieci

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"Non ho mai desiderato nulla nella mia vita. Finché il mio cuore ha iniziato a battere per te."

-Sunny

Il cuore, il maledetto organo su cui non ho comando, mi porta vicino alla fine. Si batte come se la gabbia toracica fosse la sua prigione e non la sua casa; corre e grida, pronto a lanciarsi tra le dita di colui che lo spezza. Pronto a correre il rischio, tutto pur di arrivare a lui. Eppure imparo da mio padre che degli uomini non ci si può fidare e che il mio cuore rotto e singolare non sarà amato altrettanto appassionatamente. Perciò mostro un'espressione assente, una maschera che lo tenga lontano abbastanza da lasciare il mio cuore in pace.

<<Ti annoiavi?>>lo schernisco, un leggero sorriso soddisfatto affiora sulle mie labbra. Finché non vedo i suoi passi avvicinarsi, il suo respiro alitarmi sulle guance, il mio morirmi in gola. Con lui parte della mia sicurezza.

<<E se ti dicessi che mi mancavi?>>I brividi che provo sono pronti a farmi crollare a terra, un avvertimento di quello che Black fa al mio corpo, ricordandomi quanto sia pericoloso.

La mente mi costringe a ricordare l'astio di Morte nei suoi confronti, l'odio profondo che Black prova per le povere anime, la disperazione che porta, il fastidio che mi crea. Il patto che ho stretto in cambio del mio corpo, la promessa a Venus da mantenere. E tutto ciò che mette in pericolo il piano si mostra come il più bello degli angeli dannati.

<<Ti direi che sei impazzito e che cibarti dei frutti non ti darà ciò che vuoi.>>Una piccola risata esce dalle mie labbra, ma si conclude presto alla vista del suo sguardo serio, che sembra scrutarmi infastidito.

<<Non posso mangiare i frutti della Foresta delle Delizie,>>un pizzicore alla lingua, la fastidiosa sensazione di averla già sentita.

Una di quelle sensazioni a cui sono abituata e di cui do poco conto; prevedere il futuro comporta anche sentire e vedere le cose più volte di quanto si voglia. Mi allontano, fintamente incuriosita dai gioielli che mi circondano, un modo per distrarmi e per allontanarmi dal suo sguardo inquisitore.

<<Che ci fai qui?>>Mi sembra di porgergli le stesse domande e che di tutte eviti la vera risposta. Allo stesso tempo, conoscerla sembra importante.

<<Sono interessato a un tesoro, ma da me non si fa trovare,>>un sorriso divertito, come se la cosa non lo infastidisse.

<<Allora significa che non può essere tuo,>> ammetto, mi inginocchio per guardare bene le monete con varie incisioni sotto ai miei occhi, tutte di materiali splendenti. Oro, rame, argento e ferro. Il meno luminoso, ma uno tra i più indispensabili e resistenti.

<<Vedi? È questo il problema. Tutto quello che voglio diventa mio,>>una minaccia, una promessa.
<<E tu mi puoi aiutare a prenderlo.>>Mi volto verso i cristalli, disinteressata; nelle lezioni di petrologia tendono a rapirmi i loro mille colori. Più belli di qualsiasi metallo.

Accarezzo le punte di un'Ametista grande come il mio palmo, è fredda al tatto, appuntita, ma non abbastanza da ferirmi.

<<Perché dovrei farlo?>>passo ad ogni increspatura, attenta a seguirne la linea. Conosco la storia dietro la pietra, sorrido al ricordo delle lezioni del vecchio Ashton. Chissà se pensa ancora alla sua pessima alunna durante le lezioni o se si annoia senza le mie continue critiche e lamentele.

<<Potrei darti ciò che più desideri,>>una proposta suadente scivola nel mio orecchio come un serpente dalla lingua biforcuta.

Quando alzo il mio sguardo nel suo, comprendo. Il desiderio per il tesoro lo corrode verso l'ossessione di non poterlo avere, portandolo alla pazzia. Gli occhi brillano di una luce maniacale, eccitazione e, allo stesso tempo, impazienza della mia risposta. Il corpo è contratto dalla tensione. Nonostante cerchi di mostrarmi un sorriso divertito e di camuffare la sua natura dietro la fossetta, lo detesto.

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