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Che cosa sei? Che cosa sei? Che cosa sei?
Non vorrei parlare
Cosa sei?
Ma tu sei la frase d'amore cominciata e mai finita
Non cambi mai, non cambi mai, non cambi mai
Tu sei il mio ieri, il mio oggi
Proprio mai
Il mio sempre, inquietudine
Adesso, ormai, ci puoi provare
Chiamami "tormento", dai, già che ci sei
Tu sei come il vento che porta i violini e le rose

-Parole parole (Mina)

La calamita della bandiera italiana brillava sul frigorifero rosso.

Rosso come i suoi occhi.

Si strinse le braccia nelle braccia, sfregò con le mani la pelle lattea, percossa da un formicolio che provocava dei brividi lungo la sua schiena. La calamita a contatto con il sole, che era presente nella stanza tramite il balconcino parallelo al frigorifero, brillava di una luce strana, diversa.

Si avvicinò all'elettrodomestico e la prese tra le mani tremanti, e senza accorgersene gli cadde ai piedi.

Ma non fece nulla per evitare la rottura dell'oggetto.  La ceramica era frantumata in mille pezzettini, molto affilati e taglienti, tant'è che si graffiò tutti i polpastrelli, ma ormai era vuoto.

Pochi istanti prima stava preparando la cena per lui e il suo ragazzo e dopo nemmeno cinque minuti dall'inizio, ricevette una chiamata.

Quella voce era così irritante.

Aveva sempre pensato che solo un essere spregevole come lei, potesse parlare della morte in quel modo.

Sua madre era davvero esilarante, una persona davvero strana, forse malata e che non era mai stata aiutata.

I suoi amati nonni non c'erano più.

Erano morti entrambi nel sonno, e li avevano trovati abbracciati, fin che morte non li separi.

In realtà non sapeva come fossero stati trovati, ma voleva pensarla in questo modo.

Così come in vita così in morte.

Jeongin si alzò dal pavimento gelido della cucina e si diresse in salotto.
In uno dei tanti cubi della parete attrezzata, c'era un reparto solo di musica italiana. Per precisare, di cassette degli anni settanta che sua madre custodiva gelosamente e che sua nonna aveva ereditato a lui.
Quella donna non c'era più andata nella sua città natale, dopo che era rimasta incinta. 

Aveva lasciato il lavoro e suo figlio per potersi vivere la vita, ma non la giudicava del tutto. 
Forse costretta a non poter abortire, a vivere per nove mesi un bambino che non sentiva suo e che sapeva di non crescere. Suo padre non era da meno, almeno la madre si era palesata nelle poche fasi della sua vita, il battesimo, la prima comunione e forse in alcuni giorni di scuola. 

I genitori degli altri bambini parlottavano sempre tra loro, supponendo che quella ragazza giovane e bella, potesse essere la babysitter di un figlio straniero.

Eppure, a Jeongin non fregava nulla del suo aspetto. Quel straniero, di cui sapeva solo il nome, era suo padre, ma non gli aveva mai insegnato nulla nella vita. 

Non lo aveva visto andare in bicicletta, non gli aveva imparato a leggere e a scrivere e nemmeno come ci si difende dai bulli della scuola. 

Su una cosa però suo padre era stato il migliore, gli aveva insegnato sicuramente l'essere vigliacco. Lo scappare dai suoi errori era forse l'abilità che gli veniva meglio, e di questo aveva molta paura. Non voleva essere lui, già il suo aspetto ricordava vagamente le poche foto che la nonna conservava nella scatola di latta, posta sopra la mansarda. 

Sua nonna. 
Al solo ricordo le lacrime di Jeongin caddero calde sui suoi zigomi, lo stomaco stava facendo a botte con la bile che voleva uscire dalle labbra tremanti. Il sorriso radioso che gli riserbava ogni mattina appena sveglio, ai biscotti buoni che gli preparava, al profumo dei suoi capelli, biondi biondi, mai decolorati, odiava la tintura, ma non gli aveva mai impedito di farla. 

Con lei Jeongin era libero, di tutto. 

Era stata la prima a sapere che al suo nipotino piacessero gli uomini e non le donne, ed era anche stata la prima a cui aveva rivelato i sentimenti verso Chan. E come sempre, lei gli aveva donato tutto l'amore che potesse avere. 

Suo nonno invece, era così puro. Amava sua nonna forse ancor prima di conoscerla, era quasi una devozione la sua verso la donna, e Jeongin era contento di saperli insieme anche adesso. 
Non avrebbero saputo vivere senza né l'uno e né l'altro. 

Ma lui, senza loro non sarebbe stato lo stesso. 
Percepiva un peso che mai aveva sentito prima, il petto si stringeva ad ogni singhiozzo, ormai le braccia stringevano un corpo che stava cadendo a pezzi. Da solo in una casa che lo aveva cresciuto. 

Si trovava in Australia solo ed esclusivamente grazie ai suoi nonni. 
Non volevano che lui vivesse da solo, sapevano di essere grandi per un ragazzino di quattordici anni, percepivano già le parole dette e gli sguardi perfidi della piccola cittadina.
Aveva solo sette anni quando incontrò per la prima volta Seungmin, andato in Italia con la nonna materna, amica intima della nonna di Jeongin, e subito fecero amicizia.

Divennero talmente inseparabili, che sua nonna, di comune accordo con i genitori di Seungmin,  decise di lasciarlo andare, per trovare finalmente se stesso.

Il cubo che conteneva le varie cassette, aveva anche uno stereo, così lui inserì la prima che prese e azionò.  Quando chiuse la custodia, una piccola fotografia, come quelle che si trovano sulle tessere, sbucò.

Jeongin si abbassò e riconobbe quello sguardo. Doveva essere una foto che sua madre conservava personalmente, ritraeva suo padre con un berretto da militare, un accenno di sorriso e sguardo vuoto.

Girò la foto, e lesse ad alta voce.

«Yang Jun, morto per la patria il due febbraio duemilasei. Sottotenente della marina militare coreana.»

Prese un respiro profondo e continuò. 

«Le sue ultime volontà furono quelle di avvertire sua moglie e di dare un bacio a suo figlio, l'unica cosa che lo faceva rimanere ancora in questo mondo»

La musica ormai era partita e si accorse si essere la voce del silenzio di Mina.

Le labbra si mossero involontariamente, accarezzò il volto scuro del padre, e ringraziò di aver letto queste belle parole.
È morto quando avrebbe dovuto compiere un anno, ma prima di partire ricordava di avere tantissime foto con l'uomo, e lì, in quei momenti, si poteva dire che sua madre fosse davvero felice.

Si era avvelenata con il tempo, per la morte del suo compagno e adesso con quella dei suoi genitori.

Se la sentiva forse un po' più vicina.

«E improvvisamente
Ti accorgi che il silenzio
Ha il volto delle cose che hai
Perduto
E io ti sento amore
Ti sento nel mio cuore
Stai riprendendo il posto che
Tu non avevi perso mai
Che non avevi perso mai»

Cantò insieme alla cassetta.

Ma ad un tratto un profumo che conosceva a memoria si era fatto vivo nelle sue narici, e le braccia strette iniziarono a vivere come avevano sempre fatto, il corpo rigido si fece morbido tutt'uno tratto, e le sue mani gelide presero di nuovo quel tepore che le caratterizzava.

Jeongin guardò quegli occhi lucenti e rossi «Non ti lascio solo» furono le uniche parole che Seungmin disse.

Era corso subito nella sua vecchia casa.
Aveva ricevuto le chiavi di riserva da Chan, in realtà quest'ultimo le aveva date a Changbin e lui gliele aveva portate.

Tutto un casino.

Quando entrò si accorse della canzone e del corpo minuto a terra.

Lo tenne stretto per tutto il tempo.

E questa volta non ci sarebbe stato nulla a dividerli.
Si erano promessi di stare insieme, e insieme sarebbero rimasti.

Angolo Autrice
Come state??
Io bene!
Questo capitolo mi piace particolarmente.
Si è parlato solo di I.N. lo so.
Però si sono scoperte altre novità, e quei due finalmente si sono visti!!
Comunque, spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Fatemi sapere nei commenti!!

Alla prossima!

Sweet DispositionDove le storie prendono vita. Scoprilo ora