18

3 0 0
                                    

Perché è colpa del vento
Che soffia sull'anima
E quest'anima che ha bisogno d'amore
E l'amore che fa della terra un cielo
E questa vita che ti fa sentire
Come un gelato all'equatore

-Come neve al sole (Pino Daniele)

Jeongin aprì gli occhi, ritrovandosi in una stanzetta, tutta bianca e poco accogliente. Percepiva l'odore di medicinale, pungente al punto da provocargli la nausea. Voltò il capo ritrovando gli occhi lucidi di Chan, che era rimasto per tutto quel tempo vicino a lui. Non una parola era uscita dalle labbra del biondo, gli accarezzava solo i capelli e l'osservava con occhi tristi, acquosi, ma sempre amorevoli. Jeongin si schiarì la gola, provò ad alzarsi ma fu fermato dall'infermiera che appoggiò le sue mani sulle ginocchia magre del minore «Le devo staccare la flebo, fare l'ultimo controllo e poi può andare» dichiarò e nel frattempo che parlava, aveva già terminato il suo operato, uscendo dalla stanza. Il minore si rese conto dopo che vi era anche il comandante di polizia, appoggiato alla porta, che guardava quel povero ragazzo che si trovava in una situazione più grande di lui.
All'inizio il sospettato numero uno era proprio Jeongin, poiché nipote dei Signori Mameli, e forse una delle persone più vicine alle vittime, Harris aveva già un piano per come smascherarlo, ma dopo quello che aveva visto si era ricreduto. La conferma fu data dalle impronte ritrovate sul corpo dei due anziani.
Non potevano essere del ragazzo, quando aveva stretto la mano quella mattina, le aveva trovate più sane, non come c'era scritto sulla cartella. Quelle erano ruvide, mani consumate, quasi di un cinquantenne. I risultati di quelle prove ancora non erano pronte, il comandante avrebbe voluto evitare quello strazio ai poveri ragazzi, ma non poteva fare altrimenti.
Guardava da lontano i due che si scambiavano informazioni guardandosi negli occhi, e sorrise a vedere come si volessero bene. Gli ricordavano lui e sua moglie, forse avevano anche la stessa differenza di età, poiché lui era più grande di lei come nel caso di Chan e Jeongin. Squillò il cellulare e dovette allontanarsi dalla camera dell'ospedale.
Quando rispose, pensò di essersela chiamata, perché erano pronti i veri risultati delle impronte digitali, così, senza salutare, si diresse nella struttura.
Jeongin guardò il suo ragazzo, che aveva appoggiato il suo capo sul suo busto coperto da un lenzuolino bianco, mentre con le mani, che uscivano fuori, gli accarezzava i capelli mossi e biondi. Il nero predominava, alla base erano scurissimi, e avrebbe dovuto ritingerli, ma il minore sperava che ritornasse al suo colore originale, come quando si erano conosciuti.
«Mi dispiace» disse sottovoce il moro, prima che potesse iniziare a piangere. Non avrebbe mai immaginato di vivere tutto ciò a diciannove anni, senza la minima idea di come ci si debba comportare in queste cose, sapeva che nessuno fosse mai pronto ad un lutto. Specialmente se voluto. Eppure non riusciva a capacitarsi.
«Stai vivendo queste cose per colpa mia, stai perdendo del tempo a lavoro e ti sto solo facendo perdere tempo, mi dispiace» disse alzando il tono, e distolse lo sguardo quando Chan si alzò dalla sua posizione e cercò i suoi occhi.

Come poteva dire una cosa del genere?

Non si accorgeva del bene che gli stava facendo?

Non si accorgeva dell'amore che provava per lui?

Non si rendeva conto che per lui avrebbe fatto questo ed altro?

Questo era solo un piccolo assaggio di quello che la vita può offrire, e voleva condividere con il suo ragazzo ogni boccone, dal più dolce al più amaro.
Non gli fregava niente se avesse avuto la bocca aspra e il magone per buttarlo giù, sarebbe stato più facile se fatto insieme. Il prossimo, boccone, sarebbe stato ancora più piacevole.
Era così che lui vedeva la vita.
«Non guardarmi così, non voglio la compassione di nessuno, specialm-» non riuscì a terminare che venne baciato delicatamente. Le labbra si muovevano da sole, non c'era bisogno di comandi, avevano già dato il via ad una danza sinuosa e mielosa, le mani vagavano, tra spalle e volto, le guance rosse ma colorate di amore, gli occhi lucidi di passione, respiri che diminuivano sempre più, gli occhi chiusi per immaginare di essere altrove, in un posto diverso, colorato. Vivo, come l'amore che provavano.

«Non dirlo nemmeno per scherzo» sussurrò Chan, guardandolo negli occhi e poggiando la fronte su quella dell'altro «Desidererò sempre essere con te» con i nasi colanti e gli occhi bagnati di lacrime, si strinsero in un abbraccio forte. Stretto. Di quelli che puoi percepire anche se non ricevi.

***

Il comandante bussò più e più volte in casa White. Dalle risposte ricevute dalle analisi, erano usciti fuori due nomi: Alan White e Caterina Mameli.
Spazientito alzò la voce «So che siete in casa! Aprite! Siamo della polizia!» la porta poco dopo si aprì, e si ritrovarono davanti una donna incinta, che li guardava vuota, come se non avesse sentimenti, aveva indosso una vestaglia sottile, una maglietta larga, evidentemente del marito, e un paio di leggins, i capelli raccolti in una crocchia e la sigaretta in mano, la pancia era l'unica cosa che si notava, talmente fosse magra. L'appartamento che si presentava alle sua spalle, era rovinato e sporco. Le pareti erano impregnate di fumo, giallastre e con muffa, tant'è che il comandante storse il naso cercando di tapparselo, cercava di respirare dalla bocca, per attutire la puzza. All'ingresso vi era nient'altro che uno specchio rotto e un mobiletto di legno, senza ante, il pavimento macchiato di sangue, lo stesso che era presente sulla vestaglia della donna, tra la zona della schiena e del sedere. Questa gli fumava in faccia e li guardava, senza capire realmente cosa stesse succedendo, a lei, al bambino e alla sua vita. «Lei è la signora Caterina Mameli?» domandò prima di dare il via ai poliziotti, una volta che annuì. «Dov'è vostro marito?» chiese e lei indicò vagamente il soggiorno.
Il comandante poco alla volta entrò scortato sempre dai suoi poliziotti, aprirono la porta del salone e ritrovarono il signor White strafatto di cocaina, che beveva e si lamentava contro la signora Mameli «Puttana! Dove sei finita!» biascicò urlando e dimenandosi sul tavolo, sporcando il suo viso di polvere bianca e bagnando con la birra il pavimento «Signor White la dichiaro in arresto per omicidio dei signori Mameli» disse il comandante estraendo la pistola contro l'uomo, ormai andato.
Questo infatti si alzò barcollando e si fece mettere le manette, così come la signora Mameli, che era già in macchina, ancora scossa da tutto quello che aveva nel corpo.

Una volta dentro entrambi, dovettero portarli in centrale.
Riconoscendo che non avrebbero potuto parlare poiché incoscienti.
Durante il tragitto si domandò come avrebbe potuto dire al povero ragazzo che sua madre, e il suo attuale compagno avessero avvelenato i suoi amati nonni, con del cianuro?
Sospirò e si appoggiò al finestrino della macchina della polizia.

Non sapeva ancora come, ma lo avrebbe fatto.

Angolo Autrice

Okay è stato intenso, mi dispiace delle condizioni e dei termini a cui avete assistito.
Non so se sono riuscita a smascherarmi da sola ahahahah.
Questo è il mio primo "caso", non ho mai scritto di gialli/thriller. Infatti volevo cimentarmi con questa storia, spero che il risultato non sia stato pessimo.
Mi rendo conto che si è parlato di questi due personaggi, per molto tempo, ma volevo concludere al meglio questa situazione, mettendoli in primo piano, descrivendo ogni situazione al massimo delle mie competenze.
Infatti vi dico che qualsiasi cosa scritta è frutto della mia fantasia, i nomi non sono reali, così come i cognomi.
Mi dispiace aver dovuto scrivere di droghe e alcol.
Finalmente si è conclusa questa agonia.
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento.

Alla prossima!

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: 20 hours ago ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

Sweet DispositionDove le storie prendono vita. Scoprilo ora