Il mattino seguente mi svegliai lentamente, stiracchiandomi nel calore delle coperte accanto a lui.
Ero consapevole che la giornata avrebbe portato con sé la fine di qualcosa di bello.
Mi vestii in silenzio, lasciando Brian nel letto. Quando arrivai in cucina, trovai Roger già seduto al tavolo con una tazza di caffè tra le mani e uno sguardo sornione. Freddie, appoggiato al bancone, fissava nel vuoto con un'aria pensierosa. John, come al solito tranquillo, stava girando delle uova strapazzate nella padella con la precisione di un maestro d'orchestra.
"Buongiorno, principessa," disse Roger con il suo classico sorriso malizioso. "Hai dormito o ti sei persa nei sogni come Freddie?"
"Più o meno," risposi, stiracchiandomi un po'.
"Dura pensare che oggi dobbiamo fare i bagagli e lasciare tutto."
Freddie, con lo sguardo che si faceva più vivo, mi rivolse un'occhiata intensa e quasi complice.
"Oh, io non voglio muovermi da qui. È stato perfetto, lontano da tutto, come in una bolla magica... Ma sai, le bolle prima o poi scoppiano."
Poi sorrise, quel sorriso che conoscevo bene, che usava quando cercava di alleggerire il cuore pesante.
"Scherzi a parte, non mi va proprio. Però, abbiamo un album da portare al produttore. Ah, quanto odio queste cose."
Roger rise, prendendo un sorso del suo caffè.
"Non esagerare, Freddie, non è poi così male. Però sì, anch'io preferirei restare qui a fare niente e mangiare uova strapazzate per il resto della mia vita."
John, che fino a quel momento era rimasto concentrato sulle sue uova, alzò la testa e con un tono solenne disse:
"Beh, io sono sempre pronto per gli incontri con i produttori... cioè, pronto a evitarli, se possibile."
Ci fece ridere tutti con quella sua pacatezza che nascondeva una sottile ironia.
"Magari possiamo dire che il furgone di Roger è rimasto senza benzina," dissi, ridendo mentre immaginavo la scena.
Freddie fece un finto sospiro drammatico.
"Ah, fantastico. Il nostro capolavoro intrappolato per sempre in uno scantinato, nascosto alla storia perché nessuno vuole presentarsi davanti al produttore."
Scoppiammo tutti a ridere, ma sotto quell'allegria c'era la consapevolezza che il tempo stava scadendo, e che la magia di quei giorni insieme stava per concludersi.
Mi sedetti accanto a Roger, prendendo una tazza e versandomi del caffè.
"Sarà un casino tornare alla vita di tutti i giorni," dissi con un sospiro. "Io devo tornare al lavoro, e mi sembra così... insignificante rispetto a tutto questo."
Roger si girò verso di me, sollevando un sopracciglio.
"Già, anche se a volte l'idea di tornare alla normalità non mi dispiace. Ma capisco cosa intendi. Questo... è speciale."
Fu in quel momento che Brian fece il suo ingresso in cucina, i capelli ancora spettinati dal sonno e un sorriso accennato sulle labbra.
"Che si dice?" chiese, posando una mano sulla mia spalla prima di sedersi accanto a me.
"Siamo qui a parlare di quanto ci dispiace dover fare le valigie," risposi, stringendomi leggermente nelle spalle.
Brian annuì, lo sguardo che si posava su ciascuno di noi, riflettendo la stessa malinconia che tutti provavamo.
"Sì, è difficile. L'album è pronto. E dobbiamo presentarlo, e farlo come si deve."
Freddie alzò una mano, come se volesse fermare il flusso di pensieri che già iniziava a farsi strada nella nostra conversazione.
"Sì, sì, lo sappiamo. Ma oggi voglio solo godermi un'ultima colazione tranquilla con voi. Ci sarà tempo per preoccuparsi più tardi."
John si voltò dalla padella con un sorriso, posando il piatto di uova sul tavolo.
"Ecco, facciamo così. Colazione, niente stress, e poi valigie. Ci prenderemo il nostro tempo."
Annuii, riconoscente per quell'attimo di tregua. La tensione del dover tornare alla routine, del dover affrontare la realtà, era palpabile.
Ci sedemmo tutti intorno al tavolo, tra risate e battute, cercando di evitare l'inevitabile.
Dopo la colazione, il momento tanto rimandato arrivò. L'atmosfera si era fatta leggermente più pesante mentre ci alzavamo uno a uno per andare a preparare le valigie. Brian mi lanciò un'occhiata, e con un sospiro mi avviai verso la nostra stanza. Le borse erano ancora sul pavimento, semiaperte da giorni, testimoni di quel tempo sospeso che non volevamo interrompere."Non ci posso credere che dobbiamo già andarcene," dissi, mentre iniziavo a raccogliere i vestiti sparsi per la stanza.
"Lo so," rispose Brian, infilando i suoi effetti personali alla rinfusa nella borsa.
Lovidi sorridere da solo, non sapevo come mai.
"Che fai, ridi da solo?"
"Raccogli i vestiti che sono per terra và"
Non avevo colto. Menomale osò precisare.
"Chissà perchè sono tirati via così"
Capii, si riferiva alla sera prima e al nostro...momento.
Lo fulminai. Ma sorrisi.
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"I've always looked for you"-Brian May
FanfictionViolet é una ragazza Londinese dal passato travagliato, nata nel dicembre del 49 e lavora da qualche anno in una modesta biblioteca della città. È proprio sul posto di lavoro che incontrerà le persone che le travolgeranno completamente la vita: un g...