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La famiglia che trovi è come un faro nella tempesta: non è mai perfetto, né sempre saldo, e spesso la sua luce vacilla, ma basta anche quel tremolio per ricordarti che non sei completamente perso. Non è il sangue che lega, né una storia condivisa, ma quelle crepe invisibili che si formano quando le vite si spezzano, quando ognuno di voi è stato frantumato dal proprio dolore, eppure decide, contro ogni logica, di unirsi in un mosaico imperfetto. È nei silenzi che diventano comodi, nelle risate che sanno di nostalgia, nei pasti consumati insieme, dove il cibo ha il sapore delle parole mai dette. È negli sguardi che si incrociano quando uno di voi cade, e nel modo in cui tutti si piegano per sollevarlo, anche se le vostre ginocchia sono già doloranti.
La famiglia che trovi non chiede chi eri prima, non scava nei tuoi vecchi ricordi con la brutalità della curiosità. Accetta le cicatrici, perché ognuno di loro ne ha di proprie. C’è chi è arrivato con gli occhi gonfi di lacrime trattenute per troppo tempo, chi non aveva più voce perché il mondo gli aveva strappato ogni parola. C’è chi ha perso tutto ciò che amava e chi si porta dietro un bagaglio così pesante che non riesce nemmeno a lasciarlo cadere. Eppure, in mezzo a questo caos, si costruisce qualcosa di così fragile e, allo stesso tempo, di così forte da sembrare impossibile.
Non è una famiglia perfetta, perché perfetta non è una parola che può esistere nel dolore. Litigate, urlate, vi ferite. A volte, la tensione è così spessa che sembra un filo di acciaio teso tra di voi, pronto a spezzarsi. Ma poi qualcuno fa una battuta, stupida o fuori luogo, e quel filo si allenta, e tutti ridono. Una risata che è una tregua, non una soluzione, ma che basta a farvi andare avanti.
Ci sono giorni in cui vorresti scappare, giorni in cui pensi che forse staresti meglio da solo. Ma è in quei momenti che ti accorgi che la famiglia che trovi non è solo una scelta: è un rifugio, un’ancora quando la corrente ti trascina via. È il modo in cui una mano si tende verso di te, senza aspettarsi nulla in cambio. È nei piccoli gesti: un mantello passato sulle spalle quando fa freddo, un pezzo di pane diviso a metà, una parola detta sottovoce quando pensi di essere invisibile.
E così, ti chiedi: è questo che significa essere una famiglia? Non essere perfetti, non essere sempre felici, ma semplicemente esserci, in ogni crepa, in ogni caduta, in ogni sorriso? È questo il vero amore? E se lo è, allora perché fa così male, e perché, nonostante tutto, continuiamo a cercarlo, a costruirlo, a credere che valga sempre, sempre la pena?
i l v e n t o d e l s u d
"C'era una volta, in una notte tinta di rosso e nera come la pece, una ragazza senza nome che vagava per strade deserte e ponti dimenticati. La luna sembrava essersi ritirata per paura di ciò che quella notte avrebbe visto, lasciando che solo le stelle, timide e distanti, osservassero. La chiamavano "la Maledetta delle Maree", anche se lei non lo sapeva ancora. Il suo nome non aveva più importanza, se mai ne avesse avuta una. Lei era un’ombra che camminava, un sussurro di tempesta tra le vie in rovina di un mondo che l’aveva scordata.