Lexa

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"Che ti possa fulminare 

il Dio Onnipotente

che se lo facesse 

anch'io diventerei credente."

Era la frase perfetta, pensai, quando lo vidi entrare nella mia stessa aula.

Mister Potter, così avevo già iniziato a chiamarlo mentalmente per quella cicatrice sulla fronte, si presentò con un sacchetto di ghiaccio premuto contro il naso gonfio.

Un tocco teatrale che quasi mi fece sorridere. Quasi. La mia mano era ancora intorpidita dal pugno che gli avevo sferrato poche ore prima, e nonostante tutto, lui sembrava voler sfidare ancora una volta ogni regola non scritta che governava quella scuola.

Nessuno, e lo ripeto, nessuno si siede accanto a me se non sono io a deciderlo. Questa era una regola chiara, conosciuta da tutti. La mia sedia, quella accanto, e persino la fila che mi circondava erano intoccabili. Era un segno di rispetto, o meglio, di timore. Nessuno voleva infrangere quella regola e chi ci aveva provato in passato, aveva imparato la lezione in fretta.

Ma quando Mister Potter entrò, con quel suo sorriso appena accennato e quell'aria di sfida, capii che non era come gli altri.

Si guardò intorno con calma, ignorando gli sguardi curiosi e preoccupati degli altri studenti. Non sembrava minimamente toccato dalla tensione nell'aria, come se fosse immune alla gerarchia che io stessa avevo costruito e che tutti rispettavano.

E poi accadde l'impensabile.

Con un movimento tranquillo e privo di esitazioni, Mister Potter, o qualunque fosse il suo vero nome, che per ora non mi importava, si avvicinò alla mia fila. Io lo guardavo con lo sguardo gelido e pieno di avvertimenti, aspettandomi che capisse il messaggio senza dover aprire bocca. Ma lui non si fermò. Anzi, con una tranquillità quasi irritante, fece per sedersi proprio accanto a me.

Un silenzio calò sull'aula, e sentii il peso degli sguardi su di noi. Ogni fibra del mio essere mi diceva di reagire, di fargli capire che stava oltrepassando un confine che nessuno osava oltrepassare.

<<Hai le palle, Potter>> sibilai, mentre incrociavo le braccia, fissandolo intensamente. Il sacchetto di ghiaccio sul suo naso sembrava una decorazione ridicola rispetto alla sua espressione serena.

Lui si limitò a sorridere, quasi divertito, e prese posto accanto a me senza dire una parola. Nessuno osava parlare, nemmeno respirare. Sapevano cosa stava per succedere.

<<Si sono attaccate al mio corpo da quando sono nato>> rispose, la sua voce tranquilla, con una punta di sfida.

Mi alzai leggermente, piegandomi verso di lui, lo sguardo dritto nei suoi occhi azzurri. <<Sai che nessuno si siede accanto a me, vero?>>

Il suo sorriso si allargò leggermente, mentre si sistemava più comodo sulla sedia. <<Forse è ora di cambiare qualche regola.>>

L'aula trattenne il fiato. Il mio sguardo si fece ancora più gelido, ma lui non si mosse, non si ritirò. Quel sorriso sicuro iniziava a infastidirmi sul serio. Non era solo un gioco, lui sapeva esattamente cosa stava facendo e non era il solito ragazzo che si sarebbe messo in riga dopo una minaccia.

<<Fossi in te, starei attento>> dissi con un tono basso ma pericoloso, mentre la classe intera sembrava congelarsi nell'attesa di cosa avrei fatto.

<<Fossi in te, mi rilasserei>> ribatté, senza perdere quel suo maledetto sorriso.

Per un attimo, mi chiesi se davvero stesse cercando guai o se fosse semplicemente rincoglionito.

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