La Casa degli Occhi Silenziosi

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Il vento sibilava tra gli alberi secchi, piegando i rami scheletrici come dita ossute, mentre la vecchia casa di legno appariva all'improvviso tra la nebbia. Oscura e silenziosa, si ergeva solitaria in fondo a un sentiero dimenticato, come se fosse stata abbandonata dal tempo stesso. La sua facciata era annerita dagli anni e le finestre sembravano occhi spenti, che osservavano impassibili chiunque osasse avvicinarsi.

Jonathan era fermo sul ciglio del sentiero, con la torcia in mano e una mappa ormai logora tra le dita. Aveva sentito parlare della Casa degli Occhi Silenziosi, così come molti abitanti del villaggio. Nessuno, però, aveva mai avuto il coraggio di avvicinarsi troppo. La leggenda raccontava che chiunque fosse entrato non era mai tornato indietro.

Ma Jonathan non credeva nelle leggende. Era uno scettico, un uomo di razionalità e fatti, non di superstizioni. Eppure, quella sera, sotto la pressione di una scommessa fatta con gli amici al pub, aveva deciso di dimostrare che tutte quelle storie erano solo invenzioni. Doveva entrare, fare qualche foto e uscire. Facile. E poi? Facile guadagno e fama locale.

Si fece strada tra le sterpaglie, le foglie secche che crepitavano sotto i suoi piedi come ossa spezzate. Ogni passo che faceva sembrava più pesante del precedente, mentre il vento aumentava il suo lamento. Arrivato di fronte alla porta principale, osservò i dettagli intagliati nel legno. C'erano simboli, strani, contorti, che sembravano raccontare una storia antica. Qualcosa in quei simboli lo fece rabbrividire, ma non se ne curò.

Spinse la porta con forza. Scricchiolò come se non fosse stata aperta da secoli, rivelando un interno soffocato dalla polvere e dal silenzio. Le pareti erano coperte di ragnatele, e l'aria aveva un odore acre, di umidità stagnante e qualcosa di più... ferroso.

"Soltanto una vecchia casa abbandonata," disse a voce alta, come se dovesse convincere se stesso.

Accese la torcia e cominciò a esplorare, camminando lentamente tra mobili coperti di lenzuola sporche e fotografie sbiadite. Gli occhi nelle foto sembravano seguirlo, una sensazione che lo faceva sentire scomodo. In una delle stanze, trovò una vecchia sedia a dondolo che oscillava lentamente, come se qualcuno si fosse appena alzato.

"Ecco, questa sarà perfetta per una foto inquietante," disse, tirando fuori il telefono e scattando qualche immagine.

Non si accorse che la porta dietro di lui si stava chiudendo lentamente, finché non sentì un colpo secco alle sue spalle. Si voltò di scatto, il cuore che accelerava.

"Solo il vento", pensò. "Solo il vento..."

Proseguì lungo il corridoio che conduceva al piano superiore. Il legno sotto i suoi piedi scricchiolava ad ogni passo, ma sembrava che non fosse solo lui a far rumore. Un suono leggero, come un bisbiglio lontano, iniziò a farsi strada tra le pareti della casa.

Jonathan si fermò, il respiro bloccato in gola. "Chi c'è qui?"

Il silenzio tornò, più soffocante di prima. Si convinse che fosse solo la sua immaginazione e continuò a salire. Quando raggiunse il pianerottolo, il sussurro ricominciò, ma questa volta era più chiaro, più vicino. Sembrava provenire da una porta alla fine del corridoio.

Nonostante il battito del cuore sempre più rapido, Jonathan si avvicinò lentamente. Spingendo la porta, trovò una stanza vuota, eccetto per un grande specchio posto al centro della parete opposta. Lo specchio sembrava fuori posto, come se fosse l'unica cosa nuova in tutta la casa. Si avvicinò, studiandolo attentamente. Il vetro era pulito, troppo pulito.

Si specchiò per un attimo, notando il suo riflesso pallido nell'oscurità. Poi qualcosa si mosse alle sue spalle. Non era il suo riflesso. Una figura si stagliava nella penombra, alta, con occhi neri come il buio stesso.

Jonathan si girò di scatto, ma dietro di lui non c'era niente. Solo l'ombra della stanza.

Tornò a guardare lo specchio, il respiro affannoso, e la figura era ancora lì, più vicina questa volta. La sua bocca si spalancava lentamente, come se stesse per urlare. Jonathan indietreggiò, il terrore che lo avvolgeva come un manto di ghiaccio. La porta dietro di lui si chiuse con un rumore fragoroso, lasciandolo intrappolato con quella cosa.

La figura nello specchio ora sorrideva, e con un movimento lento e deliberato, uscì dal vetro.

Jonathan urlò, ma il suono si spense nella gola. Non c'era più modo di fuggire. Gli occhi neri si avvicinavano, e il suo ultimo pensiero fu che forse, solo forse, avrebbe dovuto credere alle leggende.

Quando gli amici di Jonathan andarono a cercarlo il giorno dopo, trovarono la casa chiusa e silenziosa come sempre. L'interno era esattamente come lo descrivevano le storie: vuoto e polveroso. Non c'era traccia di Jonathan. Solo il suo telefono, abbandonato su una vecchia sedia a dondolo, con l'ultima foto scattata che mostrava uno specchio e qualcosa di indefinito che sembrava uscirne.

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