Parte 25

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Ikaris si fermò ai margini della piazza, guardando la folla agitarsi come un mare in tempesta. La pioggia continuava a cadere, sottile ma incessante, bagnando la folla radunata attorno a Rafe. Le voci della gente si sovrapponevano, mescolandosi in un caos di confusione e disillusione. Il giovane, ancora in piedi sulla cassa, gesticolava con enfasi, cercando di ottenere attenzione, ma era evidente che molti non erano convinti. Qualcuno gridava insulti, altri discutevano tra loro su cosa fare. Il vuoto di potere che Ikaris aveva creato stava iniziando a farsi sentire in tutta la sua portata, e la città, priva di una guida, si avvicinava sempre più al precipizio.

Ikaris osservava tutto in silenzio, immerso nei suoi pensieri. Non era mai stato un leader. Non aveva mai voluto esserlo. Lui era il creatore, l'uomo dietro le quinte, il visionario che aveva costruito il Sistema. E quando il Sistema era diventato un mostro, era stato lui a distruggerlo. Ma il caos che si era generato dopo... non era stato previsto.

La folla davanti a lui era spaventata. Senza la sicurezza del controllo, senza le regole che il Sistema imponeva, si sentivano persi, disorientati. Alcuni erano pronti a lottare per il potere, altri volevano solo sopravvivere, ma nessuno sapeva come farlo in un mondo senza regole. Ed era colpa sua. Ikaris sapeva che la sua distruzione del Sistema era necessaria, ma ciò che veniva dopo era ancora più importante. La libertà che aveva dato a Nova Domina poteva trasformarsi in una nuova tirannia, una peggiore di quella che aveva distrutto. Se non agiva ora, tutto sarebbe stato vano.

Mentre stava ancora riflettendo, un gruppo di uomini armati si fece strada tra la folla. Erano predoni, probabilmente uniti da una qualche banda che approfittava del caos per prendere il controllo delle risorse. Il leader, un uomo grande e robusto, con una cicatrice che gli attraversava il volto, guardava la folla con un sorriso arrogante. "Questo posto ora è nostro!" gridò, brandendo una pistola antiquata ma ancora funzionante. "Chi vuole unirsi a noi, lo faccia ora. Gli altri, sparite."

La tensione nella piazza salì immediatamente. La folla cominciò a ritirarsi, impaurita dalla minaccia, mentre i predoni avanzavano con sguardi famelici. Rafe, vedendo l'ordine che cercava di stabilire sgretolarsi davanti ai suoi occhi, fece un passo avanti, cercando di fermare il leader della banda.

"Non c'è bisogno di combattere!" gridò Rafe, cercando di farsi sentire sopra il brusio. "Possiamo lavorare insieme! Non c'è bisogno di ridurre la città in macerie!"

Il leader della banda rise, una risata fredda e vuota, priva di alcun senso di ragione. "Lavorare insieme? Questa città è già in macerie, ragazzino. E ora noi ce ne prenderemo il controllo."

Prima che Rafe potesse dire altro, il predone lo spinse giù dalla cassa con un gesto violento. Rafe cadde pesantemente a terra, sbattendo contro il selciato bagnato, e un urlo soffocato si levò dalla folla. La violenza era iniziata. I predoni avanzarono con le armi alzate, pronti a prendere con la forza ciò che volevano. La folla si disperse nel panico, alcuni tentando di fuggire, altri restando fermi, paralizzati dalla paura.

Fu in quel momento che Ikaris decise di agire.

Senza pensare troppo, avanzò verso il centro della piazza. Ogni passo lo avvicinava a quella che sapeva essere una scelta cruciale. Se fosse intervenuto, si sarebbe esposto, si sarebbe messo al centro di quel conflitto. Ma se avesse continuato a guardare, Nova Domina sarebbe stata preda di bande e tiranni senza scrupoli, e tutto ciò che aveva fatto non avrebbe significato nulla.

Ikaris si avvicinò al leader della banda, il volto nascosto dall'ombra del cappuccio, e parlò con una calma sorprendente.

"Questa città non appartiene a te."

Il predone si voltò lentamente verso di lui, con un sorriso storto dipinto sul viso. "E chi sei tu per dirmelo?"

Ikaris abbassò il cappuccio, rivelando il suo volto. Un mormorio si diffuse nella folla. Qualcuno riconobbe il suo volto, anche se erano passati anni da quando era scomparso dai radar della città.

"Sono Ikaris. Colui che ha creato il Sistema. E colui che l'ha distrutto."

Il leader della banda lo fissò per un lungo istante, poi rise di nuovo, questa volta più nervosamente. "Tu? L'uomo che ha fatto crollare tutto questo? Bene... allora sei tu che dobbiamo ringraziare per il caos che regna ora, vero?"

Ikaris avanzò ancora di un passo, ignorando la provocazione. "Il Sistema è caduto perché non poteva più essere tollerato. Ma ora sta a noi decidere cosa verrà dopo. Se tu e i tuoi uomini cercate di prendere il controllo con la forza, non sarà diverso dal passato. La libertà che abbiamo conquistato sarà ridotta a polvere."

Gli uomini della banda si guardarono tra loro, incerti. Il leader, invece, non sembrava disposto a cedere. Puntò la pistola contro Ikaris, gli occhi fissi su di lui con un'espressione fredda e calcolatrice. "Parole vuote, vecchio. Questa città ora è di chi ha la forza per prendersela."

Per un momento, sembrò che tutto fosse sul punto di esplodere. Ma poi, qualcosa accadde.

La folla, che fino a quel momento era rimasta paralizzata dalla paura, cominciò a muoversi. Non verso la fuga, ma verso Ikaris. Lentamente, uno dopo l'altro, le persone si fecero avanti, formando una linea tra lui e i predoni. Erano stanchi della violenza, stanchi del caos. Per anni erano stati controllati, ma adesso, in quel momento cruciale, avevano deciso di non lasciarsi più soggiogare da nessuno.

Il leader della banda esitò, vedendo il numero crescente di persone che si radunavano attorno a Ikaris. Per un attimo sembrò quasi vacillare, ma la sua espressione rimase dura. "Fate largo!" gridò, agitando la pistola, ma nessuno si mosse.

Ikaris, guardando quella scena, capì. La libertà non era solo una questione di distruggere il controllo. Era qualcosa che le persone dovevano rivendicare per se stesse. E in quel momento, lo stavano facendo.

"Vai via," disse Ikaris, la sua voce ferma e decisa. "O questa gente ti mostrerà cosa significa davvero essere liberi."

Il predone, capendo di non avere alcuna possibilità contro la volontà collettiva di quelle persone, abbassò lentamente la pistola. Fece un cenno ai suoi uomini e, con riluttanza, si ritirarono, svanendo nelle ombre della città. Il pericolo immediato era passato.

La piazza rimase in silenzio per un lungo momento, mentre tutti si rendevano conto di ciò che era appena accaduto. Per la prima volta, la gente si era opposta a un tiranno e aveva vinto. Non con la violenza, ma con la volontà di essere padroni del proprio destino.

Rafe, rialzandosi lentamente, si avvicinò a Ikaris. Il suo viso era segnato dal dolore per la caduta, ma nei suoi occhi brillava una nuova determinazione. "Hai fatto la cosa giusta," disse, la voce ancora incerta, ma sincera. "Ora, però, dobbiamo capire come andare avanti."

Ikaris lo guardò e, per la prima volta in anni, sentì una flebile scintilla di speranza. Non era lui l'eroe di quella storia, ma aveva capito che la libertà non era qualcosa che poteva essere donata o imposta. Doveva essere costruita, passo dopo passo, dalle persone stesse. E lui avrebbe aiutato a farlo, non come leader, ma come una guida, uno tra tanti.

Nova Domina era cambiata. E così anche Ikaris.

Le Ombre di Nova Domina: La Caduta del SistemaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora