Capitolo 21

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Due mesi dopo...

Pioveva incessantemente, mi svegliai per la pioggia che sbatteva costantemente contro le persiane. Erano le prime piogge di ottobre adoravo questo mese, perché finalmente il caldo che tanto odiavo cesso, e tornavano quelle giornate piovose, e fresche come piacevano a me. Presi il telefono per vedere l'ora, erano le undici, mi stropicciai gli occhi, non avevo voglia di alzarmi, ma qualcosa mi fece alzare di soprassalto. Le voci di Clara e mia madre che stavano parlando con un tono abbastanza acceso. Mi alzai subito dal letto,quando mi avvicinai alla porta della cucina, con cautela, facendo attenzione a non farmi vedere. Da li sentii chiaramente le due voci, "Non voglio più che fai la camera a Nicolò, gliela faccio io." Disse con un tono decisamente aggressivo, quasi come se stesse esplodendo. La sua voce risuonava forte, tagliente. Non l'avevo mai sentita cosi arrabbiata.

Mia madre, in silenzio. Sembrava sorpresa, immobile per un attimo, non si aspettava una reazione cosi forte. La guardava con occhi pieni di incomprensione, cercando di capire cosa stesse succedendo. Io ero li, dietro la porta, con il respiro fermo. C'era tensione, c'era qualcosa che aleggiava nell'aria, e non riuscivo a capire cosa stesse succedendo tra di loro. "Clara perché fai cosi? Cosa ti ha fatto cambiare idea?" Rispose mia madre alla sua affermazione cosi inaspettata. Non ci stavo capendo piu niente, ero confusa, e non capivo perché Clara stava reagendo così, ma qualcosa c'era. "Puoi andare a riprendere i soldi che hai versato per la camera, al resto ci penso io!" Mia madre cerco di farla ragionare, con voce calma ma decisa come sempre, quando voleva smussare una situazione che stava sfuggendo. "Clara ti sto dicendo che non c'è bisogno, di preoccuparti," disse cercando di abbassare la tensione "volevo fare io la cameretta a Nicolò, senza problemi. Magari potresti pensare a qualcos'altro, che serve in questo momento, come le tue visite, o altre cose che stanno urgendo di più."
Ma Clara non sembrava, voler sentire ragioni.

"Ci penso io ti ho detto, e non ti devi preoccupare di certo delle mie visite"
rispondendo così in fine, prese la sua borsa dalla sedia con un movimento repentino, che mi colse di sorpresa dietro la porta. Mi paralizzai, non l'avevo mai vista così irritata, ma sopratutto non pensavo mai che potesse comportarsi così con mia madre. "Abbiamo delle spie qui?" Disse rivolgendomi uno sguardo, più freddo che mai. La guardai senza dire niente, mentre usciva, per poi lasciar sbattere la porta dietro di sé. Andai verso mia madre, "ma che cosa è successo?" La vedevo ancora ferma lì sul divano, sorpresa da quello che gli aveva detto Clara, stava cercando di capire cosa era successo, ma non riuscì a darsi una spiegazione. "Non lo so Azzurra, sto cercando di capire, ma non lo so" confermo appunto il mio pensiero.

Così prese il telefono e chiamo subito Mattia. Dicendole cosa gli aveva detto Clara, sperando che lui gli potesse dare una spiegazione plausibile. Ma lui non ne era a conoscenza, non sapeva neanche che fosse venuta.
Con tutta sincerità, non mi interessava se Clara e mia madre avevano discusso per non so cosa, l'unica persona a cui stavo pensando in quel momento era Nicolò. Se fosse successo qualcosa di cosi grave, mio nipote non lo avrei, mai conosciuto, e solo il pensiero, iniziarono a scendere delle lacrime, che mi asciugavo con rabbia, solo quel pensiero mi divorava lo stomaco.

Andai cosi, nella mia camera, mi asciugai le lacrime che non cessavano di scendere con la manica della maglia, cercando di respingere quella sensazione di angoscia che mi attanagliava il petto. Mi misi una tuta al volo, con una felpa pesante, avvolgendo i miei capelli in una coda alta, per poi mettermi le scarpe, senza pensarci troppo usci di casa con passo veloce. In questi momenti, l'unica cosa che mi può aiutare a calmarmi era la musica, la mia compagna costante. Non c'è niente che riesca a placare la mia mente, come una canzone che mi entra sotto pelle. Cosi mi misi le cuffie, alzando il volume al massimo. Ogni nota sembrava rimbombare dentro di me, coprendo il rumore dei miei pensieri, ma non riusciva a cancellarli del tutto. Camminavo a testa bassa, colpivo distrattamente un sasso che si trovava sul marciapiede, prima piano, poi un'altro leggermente più forte. Non riuscivo a fermarmi, e più lo facevo, piu la frustrazione cresceva,come se ogni sasso, fosse un modo per sfogare la tensione che mi si accumulava. Ma fu quando il pensiero, che forse mi sarei persa la nascita di Nicolò, la rabbia mi pervase il corpo, quando mi trovai un'altro sasso poco più grande degli altri e senza pensarci lo colpii con più forza. Alzai cosi lo sguardo, e vidi che avevo colpito la portiera di una macchina parcheggiata sul lato della strada. Feci finta di niente, cercando di mantenere il passo, di non farmi distrarre. Avevo bisogno di allontanarmi, di camminare, di allontanarmi da tutto.

Di colpo, sentii una mano, posarsi sulla mia spalla. Il contatto inaspettato mi fece sobbalzare, e senza nemmeno riflettere, mi girai di scatto.

Era Alex.

Non riuscivo a credere ai miei occhi. L'ultima persona che avrei voluto incontrare in questo momento, mentre ero immersa nei miei pensieri e nella mia frustrazione. La sua presenza mi colpi come una scossa, un impatto che sentii subito. Non avevo alcuna voglia di parlare con nessuno, tanto meno con lui, eppure eccolo qui davanti a me, con il suo sguardo, che come al solito cercava di leggere i miei occhi, proprio come quando stavamo a scuola.

"Ehi.. ce l'hai con la mia macchina?" Disse, la sua voce aveva un tono scherzoso, menomale che non era di qualcun altro pensai. Quel sasso che involontariamente aveva colpito la sua macchina, gli aveva lasciato un graffio leggero sulla portiera, ma non me lo fece pesare. "Scusami" dissi, cercando di sembrare più calma di quanto mi sentissi. "Dico davvero, non era mia intenzione scusami ancora".

Alex fece un passo indietro, sorridendo in modo quasi ironico, spostando il suo sguardo verso il graffio, che avevo procurato alla macchina. "Tranquilla non e la fine del mondo" rispose. Le sue parole mi calmarono un po'. Era difficile rimanere lucida con tutto quello che stavo attraversando. Nicolò, la nascita, il futuro che sembrava sfuggirmi... il mio stato d'animo era troppo fragile per affrontare qualsiasi cosa che mi distraesse da quello.
"Scusa e che sono un po' distratta" aggiunsi, cercando di spiegare senza sembrare troppo vulnerabile. "Ho un sacco di cose per la testa, e non avevo fatto caso alla macchina che era li"
Alex, mi guardo per un momento, come se stesse cercando di leggere oltre le mie parole.
"Hai bisogno di parlare?" Continuo, e il suo tono mi sembro comprensivo, come se aveva capito come mi sentivo, come se sapeva che avessi bisogno di parlare. Ma ora come ora, non volevo parlare, avevo bisogno di allontanarmi, e restare con me, pensare a quel bambino che mi aveva salvata. "No, davvero. Devo solo andare, ma grazie" e senza aspettare una risposata, ricominciai a camminare, stavolta con un passo ancora più veloce. Alex non mi fermo. Ma il suo sguardo mi resto addosso, e io non potei fare a meno di non chiedermi, cosa stesse davvero pensando.

Quindici inverni sotto lo stesso cielo ( quel legame che ci unisce)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora