2.Risveglio

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DEMETRA


La mattina dopo, appena sveglia, afferrai il telefono per chiedere ad Arianna come stava.
Avendo mia sorella intorno, mi limitai
a mandarle dei messaggi su WhatsApp, perché non avevamo detto niente dell'accaduto alle nostre famiglie, per evitare che si preoccupassero.
La mia era già abbastanza in ansia quando uscivo di casa, quel racconto avrebbe peggiorato le cose.
Solo poco prima di pranzo io e la mia amica riuscimmo a scambiare due parole a voce.
«Come stai?», le chiesi.
«Insomma, non ho dormito molto bene. E tu?».
«Come un sasso».
«Davvero? Sei incredibile! Riesci a dormire anche dopo una cosa del genere», esclamò.
«Lo so, sono un ghiro».
Arianna fece una risatina, ma tornò subito seria. «Senti, Demi, credo che dovremmo andare alla polizia a fare denuncia».
«Non credo sia una buona idea, non abbiamo niente che provi quello che é successo».
«Ma nella metro ci sono le telecamere, di sicuro…».
«E secondo te funzionano?», sbottai. «No, dico, nella metro. A Roma».
Dopo due secondi di silenzio la sentii sbuffare. «Ma che cazzo, non funziona mai niente in ‘sta città».
«La metro va. È già qualcosa».
«Sì, finché non crollano giù le prossime scale mobili».
Ridemmo, ma non c’era la solita serenità. «Quindi che facciamo?», mi chiese poi Arianna.
«Dimentichiamo. In fin dei conti cosa racconteresti? Di essere stata salvata da un angelo vendicatore che da solo ha steso quattro vampiri? Dio, ma sentimi. Se dico in giro una stronzata del genere
mi prendono per matta. Altro che psicologo!».

La tensione si smorzò tra risate e battute e finimmo per chiacchierare di tutt’altro, tipo organizzare una cena quella sera,
con mia sorella, Samuele e altri amici.
Dopo pranzo tornai a studiare, smettendo solo quando arrivò Arianna e ci riunimmo in camera con mia sorella per una lunga sessione di preparativi.
Arianna si vestì con il solito entusiasmo e Dafne non notò niente di diverso, anche se, ogni tanto, ci scambiavamo sguardi carichi di tensione, per poi scrollare le spalle e tornare a goderci la serata come
se non fosse successo niente.
La serata fuori con gli amici contribuì
a distoglierci da quel brutto episodio. Il tempo volò, tra brindisi e momenti esilaranti e quando tornammo a casa, ero tanto piena di birra e di sonno che mi bastò lasciarmi andare sul letto un attimo per addormentarmi.
Poi aprii gli occhi, ma non nel mio letto.

Per fortuna, neanche nel prato verde.
Sognare la stessa cosa per tre giorni di fila sarebbe stato troppo strano.
Questa volta mi ritrovai accanto a un vecchio lampione, al centro del marciapiede di un lungo viale alberato; la strada percorsa da poche auto e tutte d’epoca.
Le persone che incrociai erano vestite in modo strano, sembrava quasi una rievocazione storica di inizio ‘900 con tutti quegli uomini in camicia, giacca consumata e copricapo di feltro, oppure in cappotti di lana eleganti, bombetta
in testa e accompagnati da donne con lunghi abiti severi.
Osservai le persone che mi sfrecciavano davanti in una marea confusa, strinsi gli occhi per capire dove fossi.
Sul muro, una scritta intagliata sulla pietra: Avenue D’Iena.
Avenue?

Lasciai scorrere lo sguardo fino in fondo alla strada che sfociava in un enorme
piazzale, con al centro un altrettanto enorme monumento.
Lo conoscevo, l’avevo studiato a scuola. L’Arco di Trionfo.
Osservai ancora l’ambiente intorno a me, incredula. Era assurdo che sognassi quella città. Non ero mai stata a Parigi.
Le mie riflessioni si interruppero quando notai un uomo con un elegante giacca
nera lunga e Borsalino di feltro in testa. Non riuscivo a vederlo in volto, ma sapevo di conoscerlo.
Cose che accadono solo nei sogni; sai qualcosa anche se non puoi vederlo o sentirlo, anche se deve ancora accadere.
Lo seguii d’istinto, svoltando in un vicolo dietro e ammirando le movenze fluide da gatto. Mentre procedevo, mi resi conto che la gente non sembrava notare la stranezza del mio abbigliamento e, a un certo punto, capii che non mi vedeva affatto.
La cosa mi diede i brividi, distraendomi dall’inseguimento, così che quando l’uomo si fermò, quasi gli finii addosso.
Mi bloccai all’ultimo, indietreggiando. In mezzo agli odori terribili di fogna, fumo e cibo andato a male che impregnavano la strada, avvertii l’odore della sua pelle.
Sapeva di bosco e menta, di terra e castagne.
Un calore lieve mi punse il collo,
estendendosi piano su tutto il corpo. Aspettai, sapendo che si sarebbe voltato.
Quando lo fece, rimasi senza fiato.
Era Nathaniel.

Mi avvicinai, chiamandolo.
Non rispose, invece si girò a osservare una figura slanciata dall’altra parte della strada, diretta verso di noi. In pochi istanti ci raggiunse, mostrando le sue fattezze nella semi oscurità del vicolo.
Era una donna vestita da uomo, con una severa treccia di capelli neri che scendeva dal copricapo, molto simile a quello che indossava Nathaniel. Era di una bellezza
imbarazzante, il volto sembrava disegnato dalla mano di un artista, che aveva
deciso di donarle le labbra più carnose e gli occhi più azzurri che potessero esistere nell’universo intero.
Rimasi a bocca aperta.
Soprattutto perché, un attimo dopo, Nathaniel le strinse le mani.
«Stai bene?», le chiese.
Lei annuì appena. «Le vittime nel bosco sono sue», disse con un filo di voce.
«Ho seguito le indagini, gli investigatori. Non c’è voluto molto per capirlo».
Nathaniel sospirò. «Lo immaginavo».
Si tolse il cappello, si passò una mano
tra i capelli e sul volto. Rimise il cappello al suo posto e sospirò di nuovo.
«Ha ucciso quindici persone. Lo scopriranno».
«Spero di no. Altrimenti ucciderà anche loro».
Nathaniel non rispose, fece un passo avanti e strinse la donna a sé per consolarla.
Provai uno strano senso di fastidio allo stomaco. Indietreggiai per lasciarli alla loro intimità.
Come potevo sognare una scena del genere? Come potevo sognare due persone che neanche conoscevo? E perché stavolta Nathaniel non mi vedeva?
Le domande mi allontanarono dalle due figure, poco dopo mi resi conto che l’allontanamento era reale e andai nel panico. Qualcosa mi trascinava indietro, portandomi via da quella strada e staccandomi dal terreno.
Urlai vedendo gli edifici sotto di me; girai la testa per capire cosa mi tirasse via.
Niente.
I contorni delle cose sfumarono, l’imponente torre Eiffel che si stagliava
sulla città rimpicciolì, poi anche quella si fece confusa, il cielo stesso sbiadì. Tutto
divenne bianco. Poi nero.

E mi svegliai.

Angels' War - PurgatorioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora