6.Secondo appuntamento

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DEMETRA


Uscii dalla doccia, mi avvolsi nell’asciugamano e ne afferrai un altro
per strofinarmi i capelli.
Era stata una giornata produttiva: durante la mattina ero riuscita a studiare, il pomeriggio mi ero allenata, sentendo di avere l’energia necessaria dopo un lungo periodo di stanchezza.
La nota stonata?
Nathaniel era sparito.
Di nuovo.
Posai la spazzola sul lavandino e andai in camera.

Quasi mi venne un colpo quando lo vidi fuori dalla finestra, le ali che sbattevano per tenerlo sospeso e i capelli scompigliati dal vento.
Corsi ad aprire ed entrò con un balzo, accostando le ali l’una all’altra per farle passare, anche se qualche piuma s’impigliò nell’intelaiatura della finestra.
Pensai subito ai miei genitori, al piano di sotto.
Fissai Nathaniel a occhi sgranati, rimproverandolo sottovoce: «Dico, ma
sei diventato matto?».
Si passò una mano tra i capelli, poi mi guardò. Lo sguardo era cupo e intenso, triste come mai l’avevo visto. «Perdonami», sussurrò. «Non dovrei essere qui».
«Ehi», dissi, cambiando subito tono.
Lo invitai a sedersi sul letto, mentre io richiudevo la finestra per non fare entrare il vento gelido.
Mi avvicinai a lui.
«Che succede?».
Nathaniel scosse la testa, gli occhi a terra. «Dovevo passare la notte sul tetto a controllare, ma è successa una cosa che… ah, lasciamo perdere. Volevo solo vederti».

Lo studiai, cercando di capire quello stato d’animo tanto diverso da ciò che avevo visto finora.
Era turbato e i suoi occhi vagavano
in cerca di qualcosa che non comprendevo.
«Che c'è che non va?».
«Scusa, non mi va di parlarne. Ti da fastidio se resto un po’?»
Lo guardai incuriosita, sentendo il cuore diventare miele.
Non lo avevo mai visto così... vulnerabile. Fragile.
L’angelo immortale, in quel momento, mi sembrò più mortale che mai.
«Scherzi? Ne sarei felice»
Mi alzai, tenendo stretto l’asciugamano. «Posso solo… andare a vestirmi?». Indicai la porta del bagno, sorridendo imbarazzata.
«Devo ammettere che il tuo outfit non mi dispiace» accennò un sorriso, ma gli occhi erano ancora velati di tristezza. «Ma immagino tu abbia freddo. Perciò...» Mi fece l’occhiolino, io afferrai della biancheria intima, una tuta a caso e sparii oltre la porta.

Quando tornai, trovai Nathaniel in piedi appoggiato al davanzale della finestra, che faceva scorrere il pollice sullo schermo del suo cellulare.
Alzò gli occhi e mise via il telefono. «Meglio?»
Mi strinsi nella felpa. «Per il freddo o per l’imbarazzo?»
Si passò una mano tra i capelli. «Scusami, non volevo piombare qui in quel modo».
In realtà, non mi dispiaceva affatto, anzi. Non si faceva sentire da un po’ e mi stavo giusto chiedendo che fine avesse fatto, subito prima di vederlo sospeso nel vuoto, fuori dalla mia camera.
«Sono contenta che tu l’abbia fatto, ma… sei sicuro che non c’è altro che devi dirmi? Sembri strano».
Qualcosa gli sfrecciò negli occhi, come un pensiero lontano, che premeva per uscire dalle labbra.
Aprì la bocca per parlare, ma sembrò ripensarci.
Infine disse: «In effetti, qualcosa c’è» iniziò. «Ho inviato una richiesta ai Troni, proprio ieri».
Mi guardò, ma dovette capire la mia confusione perché aggiunse: «I Troni sono gli angeli che gestiscono le regole del paradiso e che si assicurano che vengano rispettate. Burocrazia angelica, insomma. Roba così».
Mi sedetti a gambe incrociate sul letto. «Caspita! Non avrei mai detto che anche lassù ci fossero cose del genere. Voglio dire… pensavo che tutti gli angeli rispettassero le regole, punto».
Nathaniel annuì. «Lo fanno, ma ci sono troppe cose in ballo per non avere un minimo di gestione. Voglio dire… siamo tanti e ognuno di noi ha compiti ben precisi. Se non ci fossero i Troni, non
avremmo un minimo di controllo… comunque, non volevo annoiarti con queste spiegazioni»
«Non mi annoi. Però parlavi di una richiesta».
Più informazioni avevo sugli angeli e sul loro mondo, più lo rendeva reale. Volevo sapere tutto su Nathaniel e sul paradiso, sui suoi poteri e sugli altri, ma volevo anche scoprire quale fosse il motivo che lo aveva tanto turbato.
«Ho chiesto di non essere più il tuo angelo custode».
Scattai in piedi. «Perché? Non vuoi più proteggermi?».
Nathaniel fece qualche passo verso di me, posò le mani sulle mie braccia, facendomi rabbrividire. Poi, con una leggera pressione, mi invitò a sedermi di nuovo e si accomodò al mio fianco. «Perché?» chiesi ancora, con voce tremante.
Lo guardai: le sue iridi erano i boschi d’Italia, la foresta Amazzonica e le praterie d’Irlanda. Contenevano la vita delle foglie e il respiro dell’erba; erano colline di corsa e chiome d’estate sotto un cielo limpido. Ci sprofondai dentro senza paura.
«Non si può essere l’angelo custode di una persona, se si è coinvolti sentimentalmente» spiegò, con un filo di voce.
Il mio cuore perse un colpo.
«L...l-lo sei?»
Non rispose.
Sfiorò il mio viso con il palmo, il calore della sua pelle si diffuse sulla mia; improvvisamente, la temperatura di tutta la stanza si alzò. O almeno, così mi sembrava.
«Essere angelo custode significa niente distrazioni, niente coinvolgimenti. Non posso frequentarti e mantenere il mio compito. E tra questo...» continuò la carezza, facendo scivolare la mano dalla guancia al collo, poi alla spalla, giù fino al polso. Infine, intrecciò le dita
alle mie. «...e rimanere il tuo protettore. Beh… preferisco questo».

Si era avvicinato; solo un centimetro divideva le mie labbra tremanti e il suo sorriso che chiedeva di più.
Anche io volevo di più.
«Hanno approvato la richiesta? Voglio
dire… verrai punito se...» lasciai la frase a metà, inclinando la testa verso la sua.
«Teoricamente, potrebbero» mormorò, avvicinando anche il corpo, facendo scorrere le mani sulla mia schiena.
Si bloccò un istante, mi fissò.
«Al diavolo. Nessuna regola mi impedirà di fare questo».
Mi baciò.

Fu una collisione tra corpi celesti, una supernova di sensazioni.
La sua lingua volteggiò insieme alla mia, le mani si aprirono, stringendomi forte. Non sarei potuta andare via.
Traballai, indietreggiai e lui mi spinse verso il letto, dove crollammo e ci staccammo. Mi stava sopra, il gomito destro poggiato accanto alla mia spalla sinistra. Occhi negli occhi.
«Avrei dovuto portarti fuori ancora. Sono un pessimo gentil-angelo», disse sorridendo malizioso.
«Per far finire la serata peggio dell’altra volta?», scherzai, ridendo divertita.
Scosse la testa, deciso. «Non permetterò che ti accada niente. Mai».
Sembrò riflettere un secondo, poi si alzò deciso. «In effetti, potrei rimediare. Vieni».
Dopo il calore del bacio e la presenza del suo corpo sul mio, sentirlo così lontano mi fece venire la pelle d’oca.
«Dove?», chiesi prendendo la mano che mi porgeva.
Mi fece l’occhiolino. «Al secondo appuntamento».
Mi porse giaccone, sciarpa e cappello, che avevo abbandonato sulla sedia.
«Ok» dissi, incerta.
Nathaniel aprì la finestra, si arrampicò sulla soglia e si girò verso di me, in modo da avere il vuoto dietro le proprie spalle. Spalancò le ali: uno spettacolo magnifico che mi lasciò senza fiato.
Poi mi invitò ad avvicinarmi.
«Non vorrai mica…?», indicai me stessa,
le sue ali.
Allungò le braccia verso di me. «Ti porto a fare un giro».
Non avrei mai accettato una proposta del genere, in condizioni normali. Avevo paura di tutto quello che stava a più di un metro da terra.
Le vertigini mi facevano rivoltare lo stomaco ogni volta che ero a un’altezza elevata e solo l’idea di stare sospesa nel vuoto mi toglieva il fiato.
Era una follia.
Però Nathaniel era la creatura più incredibile che avessi mai conosciuto, mi aveva appena detto di provare dei sentimenti per me - anche se ci conoscevamo da pochissimo - e mi aveva baciata in modo indimenticabile. Misi da parte le paure e andai da lui.
Mi arrampicai sulla finestra, quindi mi lasciai avvolgere dalle sue braccia.
Con un’espressione opposta a quella con cui era arrivato lì, sbatté le ali un paio di volte e mi portò via.

Fu la serata più straordinaria della mia vita.
Nathaniel mi portò in volo fino alla montagna più vicina, passando veloce sopra le luci della città. Il volo fu un’esperienza memorabile che non poteva essere paragonata neanche lontanamente a qualsiasi viaggio in
“aereo”.
Riuscii a non avere paura, dentro di me sapevo che Nathaniel non mi avrebbe lasciata cadere, di fatto non allentò mai neanche la stretta. Fu il posto più sicuro e bello in cui ero mai stata.
Lassù, nel cielo, tra le braccia sue.

Poi scendemmo, fermandoci sulla cima ricurva della montagna. Ci sedemmo tra l’erba a osservare il cielo notturno. Nathaniel mi riparò dal vento invernale con le sue ali e mi tenne vicina a sé così
da non morire di freddo.
Non avevo mai visto così tante stelle, non le avevo mai contate; passammo ore a studiarle, indicando alcune costellazioni e divertendoci a chiamarle con nomi nuovi.
Verso le cinque del mattino, Nathaniel mi riportò a casa.
«Questo era un appuntamento da angelo. Andava bene?», chiese.
«Ah, quindi voi angeli rapite le persone per portarle in cima alle montagne?».
Scoppiò a ridere, poi si avvicinò al davanzale.
Si sporse verso di me. «Detto tra noi... se servirà a farti sorridere così, passerò a rapirti tutte le notti».
Le farfalle ballarono la hula nel mio stomaco.
La sensazione di gioia che mi inondava tenne incurvati gli angoli della mia bocca per tutto il tempo. Non potevo smettere di essere felice.
Non volevo farlo.
Nathaniel indietreggiò un po’, indicò il tetto sorridendo: «Rimarrò qui sopra, come sempre. Anche se non sarò più il tuo angelo custode, non smetterò mai di proteggerti. Te lo prometto».
Risposi al sorriso. «Ne avrò un altro? Di angelo custode, dico».
Nathaniel annuì. «Potrei chiederlo a Daniel, in effetti. È mio fratello e ne sarebbe felice. Comunque sì, lo avrai. O lui o qualcun altro. Ci vorrà un po’, ma lo avrai»
«Ok, ero solo curiosa. Ho già un angelo alle calcagna», ironizzai, facendogli una linguaccia.
Si mise a ridere, poi si sporse oltre la soglia e si alzò in volo. «Ora ti lascio dormire. Buonanotte, Demetra».
Avrei voluto rispondere: buonanotte universo di emozioni che non avevo mai provato.
Invece dissi: «Buonanotte Nate».
Ma nei miei occhi si poteva leggere tutto il resto.

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