3.Miasmi e buio

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GABRIEL


«Penso che gli spagnoli non c’entrino nulla con la birra», disse Angel.
Alzai il boccale e me ne scolai metà in un sorso. «Ma va. È eccezionale invece».
Scese dallo sgabello del bar.
«Vado in bagno», disse, poi si allontanò
ancheggiando.
Indossava un paio di jeans neri attillati, gli stivali e una camicetta bianca.
«Che bocconcino!».
A parlare era stato il barista, un uomo sui trent’anni, giovane e affascinante. Barba incolta, sigaretta in bocca, capelli spettinati.
«Ehi, latino. Giù le mani», lo avvisai girandomi a guardarlo.
Fece un cenno per discolparsi. «Ehi, scusa, amico. Non sapevo fosse la tua donna».
«Non lo è», ribattei, freddo. «Ma tieni giù le mani lo stesso».
Gli feci un sorriso per smorzare il clima pesante, ma lo fissai per fargli ricordare l’avvertimento.

Quando Angel tornò, salutammo e l’uomo mi rivolse un gesto d’intesa nella mia direzione.
«Hai fatto amicizia?».
Risi. «Non faccio amicizia con nessuno, a differenza tua», le risposi, mentre andavamo verso la macchina.
«Che vorresti dire?».
«Che tu fai amicizia con cani e porci».
«Con i cani può darsi. I porci… dipende se intendi porci animali o porci umani».
«Tutti e due».
Per tutta risposta, mi diede un pugno sul braccio.
«Ahia».
«Mammoletta».
Arrivammo alla macchina in pochi minuti, usavamo l’Alfa 159 nera di Michele perché la mia era fuori gioco dall’ultimo inseguimento, chiusa nel mio garage a Berlino, dove vivevo.

Da quando Angel mi aveva chiesto un incontro a Barcellona, avevo deciso di trasferirmi per qualche tempo.
I soldi non erano un problema: oltre a quelli che ci fornivano i nostri superiori per le esigenze, ognuno di noi aveva messo da parte un discreto gruzzolo
durante i secoli.
«Quanto ci vuole?», chiese lei.
«Da qui a casa o da qui al primo hotel?», sorrisi malizioso.
Angel sbuffò. «Nonostante l’astinenza e la voglia di spogliarti… intendevo casa, Gab».
Alzai le spalle. «Venti minuti».
Guardò fuori dal finestrino, silenziosa.

Non stavamo insieme, come avevo detto al barista, ma tra di noi c’era un’amicizia… molto intima.
Andavamo avanti così da qualche
decennio, ormai.
Magari non ci vedevamo per mesi, poi ci incontravamo in qualche posto per aggiornarci e… beh, finivamo a letto insieme, quasi sempre.
Letto, macchina, prato, ascensore, tetto, vicolo. Andava bene tutto.
«Muoviti dai, non ce la faccio più a tenerle chiuse» mi disse, sbuffando.
Stirò braccia e spalle e cominciò a sciogliere i muscoli della schiena.
La capivo, anche io sopportavo poco il fatto di dover tenere nascoste le ali per tanto tempo.

Accelerai e arrivammo a casa di Michele una decina di minuti dopo.
Era una villa di campagna enorme, con piscina e giardino tutt’intorno, poco fuori Barcellona.
Michele era mio fratello e viveva lì già da qualche anno, mentre io avevo scelto una delle case angeliche a Berlino. Raphael era il terzo fratello del nostro triangolo ed era tornato a Roma, il primo luogo in cui eravamo discesi.
Tutti e tre avevamo vissuto negli stessi posti per molto tempo, controllando quattro zone diverse del centro Europa tra Italia, Francia, Germania e Spagna, ma ci eravamo divisi per la necessità di coprire più paesi al contempo, visto che gli arcangeli incaricati erano tornati in paradiso.
Appena parcheggiai la macchina, Angel scese e si sfilò la giacca leggera e la camicia, rimanendo in reggiseno.
Spalancò le ali e io rimasi a fissarla, studiando ogni più piccolo dettaglio, ogni leggero movimento, da quando le piume spalancarono i lembi di pelle per uscire ed espandersi, a quando si srotolarono su loro stesse a poco a poco, distendendo le ossa, estensioni della spina dorsale.
Erano enormi ed eteree come il Paradiso.
A differenza delle mie e di quelle degli altri cherubini, in cui le piume esterne disegnavano un contorno uniforme d’oro, argento, bronzo o varie tonalità, le sue erano piene di sfumature di tutti i
colori della natura.
Ogni piuma esterna aveva una colorazione diversa e la rendevano una visione unica.
Era una serafina, il grado più alto nella gerarchia angelica, nonché Principessa del Paradiso, creata per governare le schiere del cielo insieme al suo gemello.
Un tempo entrambi sedevano sui troni posti alla sinistra del Padre ed entrambi avevano capacità che andavano ben oltre i poteri di qualsiasi altro angelo.
Angel non si era mai limitata a ordinare o coordinare le missioni che ci venivano affidate, ma aveva sempre preso parte alle spedizioni sulla Terra, combattendo al nostro fianco e trascorrendo molto tempo con alcuni di noi.
Aveva legato molto con me e i miei fratelli, con Nathaniel e con gran parte dei triangoli angelici di cherubini.
Suo fratello, invece, era tutt’altra storia. Lucifero, il portatore di luce, il principe. Così veniva chiamato, all'inizio.
Però era bastato un momento per cambiare tutto.
Per distruggere tutto.
Lucifero aveva tradito, era caduto ed era diventato un mostro, portando con sé tutti i sostenitori delle sue folli idee.
Da allora, il suo trono era rimasto vuoto.

Era davvero difficile immaginare la metà dell’anima di quel mostro nella creatura perfetta che avevo davanti agli occhi.
Rimasi ad osservarla dall’abitacolo, cercando di controllare l’eccitazione nei miei pantaloni e quella che mi faceva formicolare le cicatrici sulla schiena.
«Hai intenzione di rimanere lì tutta la notte?», chiese canzonatoria.
Sbattei le palpebre tornando in me, poi scossi la testa sorridendo.
«Smettila di fare la simpatica» risposi, poi scesi e chiusi la macchina.
«Ti aspetto in camera». Mi fece l’occhiolino ed entrò in casa.

Angels' War - PurgatorioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora