5.Discesa

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CAMRIEL


Mi voltai a incrociare lo sguardo di James.
Entrambi sorridemmo, eccitati dall’attacco imminente. Eravamo nel magazzino indicato dai miei sottoposti, in cerca dei vampiri rapiti.
Una volta arrivati agli uffici senza farci
scoprire, grazie al potere di piegare le ombre a mio piacere, avevamo fatto fuori alcune guardie lungo il cammino, per raggiungere l'ultima stanza.
James spinse la porta con un calcio, io mi gettai dentro per primo, cogliendo di sorpresa tre licantropi, due nephilim e un vampiro.
Si voltarono di scatto nella sala vuota, sfoderando le armi e mettendosi in formazione per difendere quello che doveva essere il loro capo.
Il nephilim ci guardò con disprezzo, senza fare una mossa, contrariato dalla nostra presenza. «Chi diavolo siete?».
Mi feci avanti passando in mezzo alle armi e mi fermai a un passo dalla sua faccia; intorno a me, i cinque sudditi si prepararono ad attaccare.

«Qui le domande le faccio io», annunciai. Poi tirai fuori le mie sigarette dalla tasca e ne accesi una col dito.
«Sei uno stregone?», chiese lui.
Feci un tiro. «Non hai sentito? Le domande le faccio io».
Il nephilim rise e mi indicò rivolgendosi ai suoi compagni. «Avete sentito? Irrompe nel mio magazzino senza presentarsi e le domande le fa lui», sbuffò. «Uccidetelo».
James rise senza alcuna allegria.
«Sono dei pivelli, Cam. Non sanno un cazzo».
Sospirai contrariato, facendo un tiro dalla sigaretta.
Gli altri si guardarono esitanti.
Passai la sigaretta nella mano sinistra; poi afferrai il nephilim per il collo e in un battito di ciglia lo schiantai contro il muro quattro metri dietro di lui, lasciandomi il gruppetto alle spalle.
Gli entrai nella mente senza invito, facendolo urlare di dolore.
Per dire una cosa del genere, James doveva essere già frugato nelle loro teste, ma dovevo esserne sicuro.
Dopo qualche secondo di tortura, mi resi conto che anche il mezzo angelo non sapeva niente dei rapimenti, se non dove trovare un altro vampiro della Corona da “prelevare”.
Sbuffai fuori il fumo, infastidito.
Non hanno neanche provato a schermare i pensieri”.
“Come ti ho già detto, sono solo dei pivelli”.
«Che ne facciamo, allora?», chiesi a voce alta. James sollevò le spalle, divertito. «Mandiamo i saluti a chi li comanda».
Sorrisi bieco, non aspettavo altro.

Strinsi le dita artigliate squarciando la gola del nephilim. Subito dopo, i sudditi ci furono addosso.
Uno dei licantropi, il nephilim rimasto e il vampiro, si lanciarono su di me; gli altri due attaccarono James.
Schivai la prima zampata; poi il nephilim tirò fuori le lame e le puntò contro la mia faccia. Fu l’ultima cosa che fece; gli
spezzai il collo, lasciandolo cadere a terra mentre il vampiro saltava, illudendosi di cogliermi di sorpresa.
Con la mano infuocata gli toccai la faccia, che s’incendiò all’istante strappandogli un urlo disumano, mentre in pochi secondi anche le braccia e le mani vennero divorate dalle fiamme.
Poi mi occupai del licantropo, bloccandolo a terra prima che potesse anche solo pensare di ferirmi.
«Si fa così», spiegai, poi mi abbassai e gli staccai la testa a morsi.

James, nel frattempo, aveva liquidato con altrettanta facilità gli altri lupi. Alzò gli occhi al cielo con una faccia disgustata sentendomi sputare pelo, il che mi fece ridere.
Era così schizzinoso…
«Lasciamo la firma», dissi, sazio.
James mostrò un sorriso storto, ma accolse il mio suggerimento. Disegnammo una corona in mezzo
ai resti, immergendo le mani nel sangue dei nephilim, gli unici a rimanere intatti dopo morti, visto che i vampiri diventavano cenere e dei licantropi restavano solo scheletri di lupi.
A opera finita aggiunsi le mie iniziali, C. W., perché in fondo volevo che si sapesse chi stava indagando sui rapimenti.
Se era vero che la nottata non aveva apportato alcuno sviluppo alle indagini, perlomeno mi aveva dato l’occasione
perfetta per lanciare un guanto di sfida.

Quando tornai a casa, trovai il segnale di chiamata di Lucifero: un cerchio nero sul pavimento della camera, che circoscriveva una stella a cinque punte con al centro una fiamma accesa.
A chiarire l’urgenza, sul braccio destro un pugnale invisibile mi tatuò in lettere di sangue la parola “INCARICO”.
Anche se ero appena rientrato, non volevo far aspettare un secondo di più il Capo.
Mi posizionai al centro nel cerchio, presi la fiamma tra le mani e me la gettai in
testa come si fa con una brocca d’acqua per rinfrescarsi.
Invece, presi fuoco.

Angels' War - PurgatorioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora