CAPITOLO OTTO - IL PANICO NEL SORRISO

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Mr Billy, risto-pub preso d'assalto dai giovani, a primo impatto ci si imbatte nel bancone spostato sulla sinistra, una lastra d'acciaio definisce il piano, mentre a fasciare il suo semicerchio è un color sabbia scuro. Il signore che torreggia dietro di esso ha l'aria del nonno di Heidi, burbero all'esterno e burro all'interno.

Lo spazio è decorato da due televisori incaricati di fornire musica in sala, mentre le sedute raccontano un ambiente del tutto familiare, la vistosità non è di casa e per me non potrebbe essere meglio di così. Prendo posto su una delle sedie dal design moderno, una combinazione di materiali che offre sia robustezza che estetica, in metallo e legno laccato.

I muri color beige chiaro, quasi tendenti al bianco, rinfrescano l'ambiente.

Sono io che non stempero di un grado, da quando sono seduta davanti al viso macchiato da chissà cosa, di Nathan. La calamita che cattura e inchioda i miei occhi sui suoi movimenti mi sconquassa la ragione, devo far capo a tutte le forze che ho per mostrarmi disinibita, spigliata a conversare con gli altri, fingendomi interessata alle loro ordinazioni. La verità è che nessun suono mi arriva chiaro, soltanto il rimbombo dell'attrazione è ben focalizzato sui miei sensi. Maledetta curiosità.

<<Io prenderei un'insalatona mista...magari con dentro del pollo, per evitare di avere ancora fame più tardi.>> Smuovo il focus da un'altra parte, rivolgendomi a Sekai seduta al mio fianco.

<<Mah...io consiglio il panino Devil, è il migliore che hanno.>> La voce di Nathan si introduce bruscamente nei miei ragionamenti, volti proprio a non pensare alla sua presenza. Alzo gli occhi e, nella più totale serenità, trangugia l'ultimo sorso d'acqua rimasto nel bicchiere, dopo aver encomiato un semplice panino.

<<Ed immagino che la specialità stia tutta nel nome.>> Lo schernisco acidamente, sibilando la frase in un veleno ardente. Il connubio di agitazione e la sua sfacciataggine offuscano la lucidità che sto tentando di riportare a vista senza tregua.

Risponde con un semplice gioco di sguardi, facendo scattare per un solo istante le sopracciglia all'insù, rendendo ancor più visibili le iridi tendenti ad un colore da brividi, un oro nero quasi liquido. Il loro taglio incurvato verso l'alto non espone a spiragli di serenità, ma solo a turbolenze e paranoie, strettoie su sentieri spinosi, sofferenze dedicate a pochi mortali. Talmente intrinseco e spigoloso da vedere quasi lo specchio di me. Il sesto senso si presenta ancora al mio cospetto, per ricordarmi di stare alla larga da chi troppo mi somiglia, perché due universi già spenti non si fanno luce a vicenda, si ingoiano nel buio. Il contorno dei suoi occhi è talmente marcato da sembrare truccato, conferendogli un'intensità di un altro mondo.

A distogliere l'ennesimo sprofondo in pensieri ingarbugliati è l'arrivo di Chris, tanto rosso in volto da farmi credere abbia camminato in verticale per arrivare qui.

<<Ma che hai in faccia?>> Sgrana i grandi fanali blu il biondino, sempre pronto a rendere discutibile il tono delle sue domande.

<<Nulla, ho soltanto corso per arrivare in tempo.>> Chris nasconde dietro il ciuffo scomposto l'inevitabile e reale motivazione, coprendo quel poco che può, avvicinandosi alla sedia posta a capo tavola, accanto a me. Mi rivolge un sorriso di cortesia, stralunato e nel vano tentativo di disorientare tutti dalla sua singolare entrata in scena.

<<Dov'è lei?>> Domando senza distogliere lo sguardo dalla forchetta adagiata sul tovagliolo bianco, basico.

<<Rebecca non è voluta venire.>> Stampa irremovibilmente seccato dall'inaspettata apertura di un discorso che, visibilmente, stava cercando di evitare.

<<O non volevi tu?>> Rimando senza scrupoli, mentre tento invano di riacquisire quella discrezione che aiuterebbe a ristabilire i freni. Allo stesso tempo, Pablo dall'altro capo del tavolo, accanto a Nathan, mi sgretola con un'occhiata truce, mentre Sek se ne sta con il viso tra le mani poggiata sul tavolino.

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