CAPITOLO UNDICI - SCOSSE

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<<Quel maledetto...>>

Le coperte stropicciate nelle mie mani implorano il perdono di una colpa che non gli appartiene. L'orologio del mio telefono segna le due di notte, pianificando un'altra mattinata tra le braccia di Morfeo, vanificando totalmente i programmi organizzati.

<<Che vuoi dire?>> Sek troneggia al mio fianco, scannerizzandomi con gli occhi abbottonati dal sonno devastante.

<<Ma hai capito che ha detto? Non capisce perché ci chiedono di uscire...ma per favore.>> Definisco in una frase che non consegna alcuna giustizia alle reali intemperie che mi ingarbugliano le viscere del petto.

<<Si, è strano e stronzo.>> Sventra violentemente l'armonia del suo viso dai tratti angelici. <<Non so chi si crede di essere, ma se lo infastidisce che usciamo con loro, è proprio quello che faremo.>> Schiaffeggio delicatamente la quiete della villetta completamente addormentata. Dal salottino si sente Ric russare lievemente, mentre inizio a domandarmi come la signora Maria riesca ad estraniarsi da quel rumore continuo. La mia misofonia direbbe dormi fuori col gatto.

<<In effetti alcune ragazze, alla festa, ci fissavano in modo strano...>> Si ricompone in un'aria pensosa, facendo riferimento a quanto appreso poco prima dal mio racconto. <<È probabile che siano davvero un gruppo di ragazzi molto ambito.>>

<<Saranno ambiti, come ti pare. Ma questo non lo giustifica.>> Sottolineo severa ed irremovibile. Odio sentirmi di troppo, odio essere giudicata ed esclusa a priori. Mi riporta indietro, a quando venivo denigrata alle elementari, alle medie...vittima di quelle bocche a straparlo insensate. Inginocchiata dalle prese in giro dolenti sui miei vestiti non firmati, dal mio taglio di capelli con frangetta e caschetto, per non parlare dell'apparecchio ai denti. Allontanata sin dal principio, tagliata fuori dalle uscite organizzate, lasciata nel dimenticatoio nella scelta del posto sul pullman, alle gite scolastiche, mentre mia madre mi incolpava di essere una stupida senza spina dorsale.

<<Beh, ignoralo.>> Tronca in un mugugno, mentre si strofina con entrambi i palmi delle mani il viso candido.

<<Dovrei, sì.>> Mento senza pudore.
Non lo farò, non resterò a subire ancora una volta, per di più da un vent'enne pazzo e pallone gonfiato.


Il Sole si ramifica dolente sui muri della stanza. Giro il corpo di soppiatto, constatando l'assenza di Sek. La cosa è preoccupante, visto lo stato comatoso nel quale si imbatte ogni volta che chiude le palpebre. Stento in uno stiracchiamento rumoroso, agguantando la poca lucidità della prima veglia; arranco una mano sul comodino per afferrare il telefono, mentre mi siedo e poggio la schiena sulla spalliera.

Mi arrendo al controllo delle notifiche, nelle quali spero di non trovare nulla che possa alimentare l'angoscia, sempre pronta ad offrirmi il suo meglio.

Scorgo il messaggio di Loris, la semplice risposta che avevo già visto ieri 'sono in palestra.', alla quale non ho più voluto prestare attenzione, guidata dalla paura che i sensi di colpa finissero per mangiarmi viva.

Faccio scorrere ancora il dito sul display, trovando un sms di mia madre, solito e statico. 

'amore, tutto ok?'

Resto fissa in quel testo arido, indecisa se lasciarle pensare di essere stata ignorata, o digitare le solite lettere cariche di gelido astio. Accendo la seconda opzione, decisa a fare lo slalom tra le possibili problematiche.

'Si, voi?'


Nell'interessamento di rimando non c'è alcuna verità, perché l'unica cosa che mi spinge a trattare ancora con la sua insistente presenza, è la mia giovane età e la consapevolezza di dover sottostare all'affidamento congiunto. Ogni fine settimana rimonto i bagagli per andare da mio nonno, rischiando di incrociarla nell'aridità di un rapporto superficiale e, nel peggiore dei casi, violento.

<<Buongiorno raggio di Sole!>> Sek rimbomba nella penombra della stanza, illuminando i pensieri bui che tentavano di assopire la tranquillità.

<<Ciao Sis, come mai già in piedi?>> Le chiedo ancora preda dei rimasugli del sonno appena abbandonato.
<<Comunque sono le undici passate, non è così presto...>> Si indispone ironicamente, mantenendo l'indice puntato su di me, che la osservo divertita, sotto una veste severa che non le appartiene affatto.

<<Hai ragione, sto praticamente dormendo, ancora.>> Confesso, stropicciando gli occhi.

Accantono per il momento l'idea di fare del gossip sulla sua nuova ed ormai assodata conquista, per andarmi a perdere nell'aria del mare in giardino.

Assaporo ad ogni passo il crescere dello iodio nelle mie narici, talmente forte da piantarmi nel cervello la consapevolezza ardente di trovarmi ancora ben lontana da casa. Inspiro l'aria mattutina, fissa sul panorama irreale che si espande davanti ai miei occhi, contemplando un'ansia diversa, mai sperimentata: il tempo passa e non posso farci niente. Presto o tardi tutto finirà e sarò di nuovo la pedina della vita dei miei genitori; chi mi vuole in un modo e chi in un altro, chi mi chiede troppo e chi niente. L'unica cosa certa, è che io non sono padrona di me stessa.  

<<Jas, Pablo mi chiede se oggi pomeriggio siamo libere, andiamo alla Certosa.>> La testolina di Sek si affaccia nel bagno, mentre sono ancora in accappatoio. Mi volto verso i suoi occhi cerulei, speranzosi e supplichevoli. Abbiamo appena finito di pranzare e la mia testa non pensa ad altro che a una dormita sulla sdraio, nello spazio sottostante al giardino.

<<Si, come vuoi.>> La accontento con svogliatezza. <<Ma non adesso, ti prego, non farmi fare le cose di fretta.>>
<<Ricevuto, va bene per le cinque?>>
<<D'accordo.>>
La porta di richiude ed io sprofondo nuovamente negli scrolli dei social media, in particolare sul profilo di Loris. Quegli occhi verdi mi imbrogliano lo stomaco, e l'equilibrio che riesce a governare in tutte le cose che fa mi convince e trascina verso di lui. Ho bisogno di scrivergli, ma ogni volta che apro la sua chat, i sensi di colpa urtano duramente la mia coscienza. Nonostante io non abbia motivo di averne, qualcosa nel mio inconscio risale a stordire tutto. Ma questo non basta a frenare l'ostinazione verso i nodi ben intricati.

'Come sta il mio fiore di ciliegio?'

Digito di punto in bianco, con la mente altrove.

Mentre inizio ad infilare la canotta nera e gli shorts, la suoneria intona il trillo di un nuovo messaggio.

'La tua mancanza appassisce anche un fiore di plastica'.

'Scrivimi sempre.'

Gli chiedo disperatamente, come a dire io non ci riesco, fallo tu al posto mio.

'Lo farò, Cherry.'

Resto sulla soglia di una risposta, ma non faccio altro che bloccare il telefono dopo aver constatato che non c'è davvero altro da aggiungere. 

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