CAPITOLO NOVE - BOYS OVER FLOWERS

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<<Sis?>> Mi richiama Sek, evidentemente accortasi del mio stato di trance. Ho gli occhi fissi sull'oscurità che la mezzanotte passata offre sul mare, le labbra serrate in una stesura inscalfibile, e la testa poggiata sulla parte bassa della panchina, mentre ancora giaccio al suolo, reduce di uno show compromesso dalle solite, immortali tenebre.

<<Sì, ci sono.>> Ricaccio dentro il vuoto assordante, rimettendomi in piedi sotto lo sguardo confuso di tutti, escluso Nathan. Lui sembra impassibile, appeso a chissà quale sentenza o viluppo di vicissitudini raschianti. Mi osserva con un'attenzione inquietante, nei suoi occhi non riesco a vederci altro che ignoto dolore, senza poterne capire la provenienza.

<<Sis, torniamo a casa, è quasi tardi.>> Sek mi carezza il braccio, regalandomi uno dei suoi dolcissimi sorrisi.

Faccio per salutare Chris, ma vengo bloccata dalla sua presa delicata e comprensiva che adagia piano sul mio polso. <<Vi accompagniamo, ragazze.>> Definisce in un sorriso celestiale.

Annuisco, restituendo il cenno più dolce che conosco, tentando di calarmi in un'impresa che non mi appartiene; le carinerie gratuite non hanno mai partecipato alla congrega delle mie caratteristiche basiche.

Incamminandoci, non posso che fare caso ad una Capri meno contaminata, più libera dal brusio dei corpi smaniosi di calpestare il suo suolo ambito. La soglia della mezzanotte passata rende i dintorni permissivi, accende la veridicità dei suoni, apre le porte all'odore del mare. Non riesco ad immaginare una vita lontana da lei, dalla libertà di cui mi nutro ogni benedetto giorno.
<<Vieni con me.>> La voce troppo distinguibile di Nathan spezza la linea fluida dei miei pensieri, invadendo la connessione con la pace, disintegrandola senza un briciolo di scrupolo.

Mi vedo allontanare passo dopo passo dalla combriccola inconsapevole di tutto.

<<Dove?! Devo and..>> La frase rimane a mezz'aria, senza possibilità di portarla a termine, tanto è vorace la presa e la velocità con le quali mi trascina verso una discesa accostata all'Hotel Quisisana. Le gambe corrono, ma la mente resta a Sek, che non ha la minima idea di cosa stia succedendo, sicuramente resterà di sasso nell'accorgersi che manchiamo proprio noi due.

<<Nathan, Dio, devo andare!>> Nella mia testa non c'è altro che il coprifuoco sancito da Ric, severo ed irremovibile. Rischiare di non adempire a quel patto non scritto, è fuori discussione.
<<Potete uscire anche dopo cena, ma all'una e mezza vi voglio a casa>> Le sue raccomandazioni risuonano assordanti.

D'un tratto ci fermiamo, tanto bruscamente da farmi finire contro la sua schiena. Avverto il suo profumo per la prima volta, scandisce pioggia ed intonaco, un odore misto a qualcosa che conosco. Sembra richiamare le case dove si ha paura di aprire le finestre, perché vedere fuori diventerebbe la causa di un sintomo indelebile: la voglia di evadere. Il sentiero che traccia la sinfonia dell'effluvio è profondo, permane per qualche secondo rapendo tutto il focus che stavo cercando di dirottare altrove.

Poi mi sveglio, ed intorno a noi una stradina piccola e cementata si materializza, sembra anch'essa decorata da negozi che richiamano la cultura caprese, vestiti messi in mostra dietro le vetrine chiuse e stanche, chioschi dai nomi caratteristici, ma già addormentati.
<<Che facciamo qui?>> Lo scuoto ancora, impaziente di scorgere una qualsiasi verità, basta che sia la sua.

<<Facciamo un gioco.>> Disputa rigido, senza voltarsi.

<<Un...gioco?>> Resto per un momento senza le mie solite, corrosive capacità comunicative. Poi sfratto finalmente l'annebbiamento funesto e riprendo. <<Nathan, ho bisogno di tornare a casa. Ho un coprifuoco a differenza di tutti voi.>> 

YOU ARE MY DARKNESSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora