capitolo 8✨

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Ci siamo detti cose

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Ci siamo detti cose

che non possono morire.

- Charles Baudelaire


Non poteva averlo detto davvero. Ero abituata a rispondere a tono alle provocazioni, soprattutto se provenienti da tipi come lui, ma quelle parole mi lasciarono talmente sbigottita che non riuscii a trovarne a mia volta. Se era questo il gioco a cui voleva giocare, sarei stata io a vincere.

Era ancora lì, immobile, alla mia altezza, con gli occhi immersi nei miei, alla ricerca di qualunque indizio. Cercai di rimanere impassibile, anche se fu davvero difficile.

«Non so con chi hai avuto a che fare finora.» Cominciai, avvicinando il viso al suo a mia volta. «Ma se credi che starò ai tuoi ordini come un burattino, o come le ragazzine con cui immagino tu sia abituato a intrattenerti, ti sbagli di grosso.» Rimase spiazzato alla mia affermazione, quasi come se non si aspettasse un'affermazione tanto audace da parte mia. «Ora, se vuoi scusarmi, vorrei tornare al mio lavoro.» Poi, senza prestargli più attenzione, tornai ai documenti. Era questo il suo gioco? Nessun problema. Quello che non sapeva era che sarei stata io a vincere. Ciò che, invece, io non capivo, erano i suoi tentativi di seduzione. Sempre se li avessi potuti definire tali. Si comportava da perfetto stronzo, ma non faceva altro che guardarmi con una strana luce negli occhi. Se non lo conoscessi, avrei detto che si trattasse di desiderio. Ma non poteva essere così. Sfida, forse. Ma, di certo, non desiderio. Anche il suo corpo mi parlava. La sua continua ricerca di un contatto fisico, anche se appena percettibile. Il fascino magnetico che sprigionava il suo corpo, come se cercasse di attirarmi a sé. Come se mi volesse nella stessa misura in cui mi odiava.

In fondo, il nostro, era un odio a metà. Scaturito da due caratteri forti che non avevano alcuna intenzione di scendere a compromessi. Un braccio di ferro iniziato per caso, e che ormai non potevamo far altro che portare a termine. Se perdere significava rinunciare al potere, arrendersi sarebbe stato come ammettere di non essere all'altezza.

*

Più il tempo passava, più le cose tra di noi diventavano complicate. Se, all'inizio, l'odio e il fastidio erano gli unici sentimenti a decorare le nostre – rare – conversazioni, adesso le cose erano decisamente cambiate. Non avrei potuto sostenere quel ritmo molto a lungo. Se il lavoro era già abbastanza pesante da solo, dover tenere sempre alta la guardia e le orecchie tese, pronte ad analizzare ogni parola che pronunciava, era snervante. Alla fine della giornata non avevo neanche più la forza di respirare.

Ogni mattina, al rintocco della sveglia, c'erano una manciata di secondi in cui non ricordavo a che punto della mia vita fossi arrivata. La mia mente era vuota. Nessun Hunter Maddox a incasinarmi i pensieri e le sensazioni, nessuna responsabilità, nessun obbligo. Trenta secondi in cui il mondo restava in silenzio e potevo farmi cullare dalla brezza profumata del mattino e dalla sensazione di dondolare sulle nuvole. Ma, come tutte le cose belle, aveva vita breve. Trascorsi i miei attimi di pace, tutto mi tornava in mente nello stesso modo in cui uno tsunami si abbatte sulla costa. Impetuoso, rapido, senza pietà.

In between - Would you fight for love?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora