La mattina seguente, Viktorius mi chiese di andare a mangiare alla mensa della scuola ma io gli proposi di andare a prendere un gelato al bar vicino la scuola. Era il giorno prima della gita scolastica.
Parlammo a lungo delle nostre amicizie, mi chiese molto riguardo il mio paese e la mia vita in Basilicata. Approfittai del momento tranquillo per chiedergli come mai avesse quel comportamento misterioso ma non ricevetti una risposta ben precisa. Finito il gelato,tornammo a scuola e passeggiammo un po' per il corridoio, presi un caffè alla macchinetta della scuola perché ero molto stanca. Lui mi accompagnò.
Incontrai la mia Gaietta e Viktorius sbuffò. Quanto mi diede fastidio quel suo atteggiamento nei confronti di Gaia. Mentre parlavo con lei ci interruppe -"Gaia, vattene per favore."
Mi diede fastidio. Molto fastidio. Era insopportabile. Ero molto protettiva nei confronti di Gaia perché era l'unica capace di capirmi. Senza pensarci un secondo in più, la difesi e mi misi contro Viktorius. Sapevo che avrei litigato con lui, ma non avevo scelta, Gaia era al primo posto.
In ogni caso non andò come avevo previsto.
-"Ma perché non te ne vai tu?! E possibilmente fallo velocemente." Gli dissi guardandolo negli occhi.
Non disse nulla, rimase immobile e Gaia per non farmi litigare con lui se ne andò.
-"Sei una stronza" mi disse dolcemente.
-"Ma vaffanculo!"
-"Ascoltami." Iniziò ad alzare la voce.
"Ti ascolterò quando smetterai di fare lo stronzo. Non ti permettere più!" Gridai con tutto il fiato che avevo.
-"Ma mi ascolti!? Smettila."
Non gli risposi e mi disse -" Quando finisci di fare la stronza mi abbracci?"
Scoppiammo a ridere.Ci abbracciammo.
Fu una sensazione strana perché il suo era un'abbraccio diverso dagli altri. Non sentivo nulla, non vedevo nulla.
Sapevo che in quel momento avevo qualcuno di cui potermi fidare, sapevo che ormai eravamo migliori amici. Non era una persona che stava con chiunque e non é da tutti essere per pochi.
Però mi ero affezionata con una velocità tale da non farmi rendere conto nemmeno del guaio in cui mi ero cacciata.