3. - Sky.

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Da bambina era mia abitudine sdraiarmi a pancia sopra sull'erba di fine autunno del prato dietro casa per guardare l'immenso cielo sulla mia testa, con ogni sua sfaccettatura.

Infatti, non mi è mai importato se questo fosse talmente azzurro da accecare gli occhi, oppure nuvoloso, con quella nota di incertezza che mette quel colore così grigio, o se avrebbe piovuto, così tanto da rinchiudere le persone in casa, sotto una coperta calda, davanti ad un film, o, per i più intellettuali, con un libro tra le mani, io passavo i miei pomeriggi lì, a chiedermi come fosse stare sospesa nell'aria, là in alto, in pace.

Ora, invece, che ci sono arrivata, ora che la meta è stata raggiunta, sono qui a pancia sotto, con le mani appoggiate sotto al mento, mentre guardo il mondo andare avanti, e specialmente la casa in cui vivevo. È così piccola, minuscola, insignificante vista da qui.

C'è lui, poi c'è sempre lui. Passa davanti all'abitazione più di una volta al giorno, indisturbato, indifferente, ignaro di tutto, come se non ci fossi mai stata ad occupare la sua vita, come se non fossi nemmeno più un ricordo lontano. Forse è stato proprio lui la goccia che ha fatto traboccare il vaso. La stessa goccia che mi ha portata a toccare il cielo con un dito per sempre.

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