Capitolo 9 - Strega!

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Sheila era cresciuta, non era più quella ragazzetta longilinea e dinoccolata rispetto alle altre ragazze della sua età. Aveva messo su seno e le giuste rotondità nei fianchi. Girava per le strade con un velo sul capo perché i suoi meravigliosi capelli sciolti rosso rame attiravano l'attenzione degli uomini e le malelingue delle sue invidiose coetanee, mentre le donne di una certa età riconoscevano in lei un aiuto valido in caso di malattia. Sentiva spesso su di sé gli sguardi avidi degli uomini che la scrutavano con odio, qualcuno pure sputava dove lei passava.

Da molto tempo non veniva molestata dai ragazzotti del paese che l'avevano stropicciata con il passare del tempo e temeva sempre potesse ritornare quel momento con chissà quali altre conseguenze. Cestello sotto braccio e velo sulla testa, cercava di raggiungere il mercato della città per fare provviste delle cose di cui non si poteva mantenere da sola. Stoffe per i grembiuli, asciugamani puliti, pentole nuove. Ma fu afferrata per il gomito e strattonata in una vietta angusta, ancora una volta gettata nelle braccia di uno o l'altro mascalzone. Erano i soliti che la molestavano quando tentava di tornare da scuola ma questa volta avevano una luce di cattiveria negli occhi. Mentre se la passavano le avevano già tolto il cesto ed il mantello e Sheila si dimenava fortemente con gli occhi carichi di odio e stava per riempirsi i polmoni per urlare quando una mano sudicia le infilò in gola uno straccio, un altro le legò le mani dietro la schiena la misero a carponi con la testa su di un ceppo abbandonato che doveva essere parte della raccolta di legname di qualche focolare presso qualche casa. Uno dei loschi figuri la teneva per i fianchi e le carezzava i glutei con fare lascivo. - No, mio Dio, no! - pensò Sheila mentre iniziava a piangere e a dimenarsi. Lacrime calde le sgorgavano sulle guance mentre temeva il peggio per la sua incolumità. Un altro di quei farabutti prese l'accetta che qualcuno aveva lasciato incustodita e presero a tagliarle attorno alla testa ciocche su ciocche dei suoi meravigliosi capelli con una furia incredibile mentre le urlavano di essere una strega e che doveva lasciare il paese e le loro donne. Dopo iniziarono a prenderla a calci e a pugni ma lei non poteva difendersi dalla posizione che le avevano fatto assumere. Nessuno udiva quello che succedeva dalla via principale? Doveva morire così? Lì in mezzo ad una strada?.

"Aspetta! Urlò uno dei malefici che la circondava, "che ne dite se ce la sbattiamo a turno a testa?" L'orrore si dipinse nel volto semicosciente della ragazza, quella sarebbe stata la sua rovina, per sempre. Ma udì uno scalpiccìo attorno a sé. Qualcuno dalla strada aveva richiamato l'attenzione di alcuni cavalieri che stavano andando verso il castello e i delinquenti se l'erano data a gambe lasciando quella derelitta quasi morente sul ciglio del viottolo, riversa con il viso tumefatto dai pugni e dai calci presi, un labbro spaccato, le mani legate, gli abiti sgualciti. Un giovane scese da cavallo e accorse nei pressi della sconosciuta fin quando non vide attorno a lei una raggiera di capelli rosso rame tagliati malamente. Cercò di sollevarla delicatamente. L'avevano brutalmente deturpata quei maledetti!

L'aveva riconosciuta, nonostante il dolore che stava provando nel vederla così maltrattata dalla sua gente, era sicuramente lei, la sua Sheila. Presto per non dare nell'occhio, la avvolse nel suo mantello e la nascose alle occhiate altrui, non poteva salire a cavallo per non aumentarle i dolori con gli scossoni dell'eventuale galoppo quindi diede ordine ai suoi soldati di andare al maniero a rifocillarsi e non riferire niente di quanto era accaduto. Ma erano rimasti talmente indietro che videro solo un peso morto tra le braccia del loro giovane conte Albert O'Donnell quindi non riconobbero nessuno in particolare anche se era chiaro che una persona era stata malmenata brutalmente. Non conoscendo dove abitassero sua zia ed il fabbro, decise di portarla nell'unico luogo dove l'aveva vista crescere. Tra le strade meno in vista della città raggiunse quella verso il bosco, dove alle pendici, si ergeva, come nei suoi ricordi, la casa della giovanetta di cui aveva custodito risate, gioia e condiviso le giornate.

Aprì l'uscio con una spallata, non sentì dolore nemmeno nello sforzo di tenerla per tutto il tempo tra le braccia, anzi, in un altro tempo ed in un altro luogo gli sarebbe stato dolce questo momento. Ma non poteva perdersi in smancerie, doveva medicare quella ragazza. Doveva aiutarla a vivere!

La distese sul letto e lei mormorò debolmente il dolore che provava, non apriva gli occhi, respirava con fatica. Infischiandosene delle apparenze e di quello che potrebbero aver visto le vecchie del villaggio affacciate alle finestre, uscì all'abbeveratoio e riempì dei secchi d'acqua che portò nella casa. Vi si chiuse dentro, appoggiò guanti e cappello su una sedia, si fece su le maniche dell'abito costoso ed iniziò a guardarsi attorno per capire come poter alleviare il dolore a quella povera ragazza. Non aveva mai curato nessuno ma in molti si erano presi cura di lui quando si era ferito. Ed aveva imparato qualche nozione in un tempo ormai remoto quando pendeva dalle labbra di una splendente ragazzina rossa dinoccolata che saltellava tra un'erba officinale ed un'altra.

Cercò spugne e asciugamani, accese il fuoco sotto un paiolo per procurarsi dell'acqua calda, nel frattempo con quella fresca liberava la fronte ed il viso dalle macchie di sangue che lo nascondevano. Non era rimasto più niente di quei serici riccioli rossi che tanto aveva amato guardare. Ma poco importava, i capelli sarebbero ricresciuti se quella dolce creatura avesse ripreso vita. Lei era in uno stato comatoso e non si rendeva conto delle cure che le venivano prodigate e nemmeno da chi. Sentiva che veniva lentamente spogliata dagli abiti, sollevata leggermente, ma ogni movimento le provocava dolore, nonostante la delicatezza di quelle calde mani grandi.

Sopra di lei erano state stese un lenzuolo di cotone fresco e una più spessa coperta di lana. Qualche volta le veniva chiesto di sorseggiare un intruglio caldo dal gusto corroborante e zuccherino, quasi piacevole. E spesso quelle mani le sfioravano il corpo con un panno umido per lavarla e rinfrescarle la pelle.

Poi vari unguenti dai vari profumi vennero avvicinati al suo volto e vennero usati sul suo corpo dove si sentiva più dolorante, sulle costole, una lieve carezza sui seni turgidi, un unguento sui glutei ora neri dalle botte, un impiastro sul viso per sgonfiare l'occhio che non riusciva nemmeno ad aprire.

Ma chi era a prendersi cura di lei? Non erano le sottili mani di zia Amber, non erano mani di donna. Questa domanda le aleggiava nella mente ma non riusciva a proferire parola, chissà se sarebbe stata capace di camminare nuovamente. Presa dallo sconforto e dalla disperazione si lasciava cullare da quelle mani salde e gentili che la facevano sentire al sicuro.

Albert si dedicò anima e corpo alla cura di Sheila. Cercava di non guardarla come un uomo fa con una donna. In quel momento, così rovinata, sembrava ci fosse poco da desiderare. Ma lui sapeva, mentre le rinfrescava il corpo tormentato con una pezzuola, quale tesoro sepolto c'era. E voleva a tutti i costi ristabilirne lo splendore.

Fremeva di desiderio ogni qual volta sfiorava i lineamenti del viso, il lungo collo bianco, i capezzoli turgidi, il ventre fino al punto in cui si incrociavano le gambe. Ma non erano pensieri da farsi in quel momento. Sheila stava male e lui non poteva pensare a sé stesso.

Quante volte l'aveva sognata da quando si erano lasciati da ragazzi, nulla però lo aveva preparato all'immagine reale di quella florida bellezza ora tutta ammaccata. Punto d'onore era farla tornare come prima e si mise di buona lena a lenirne le sofferenze.

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