Capitolo 11 - I dolori di una giovane strega

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Da giorni ormai Sheila giaceva nel letto, in uno stato di semi coscienza. Sentiva sempre più spesso delle persone affaccendarsi al suo capezzale, ma non riusciva a muovere i muscoli indolenziti. La signora Gilles era venuta a farle visita e le comari che avevano visto tempo fa quel giovane trasportare quel peso nascosto tra le braccia e portarlo alla casupola ebbero la conferma che la ferita fosse la beneamata Sheila. Quindi, invece del solito chiacchiericcio petulante, si organizzarono per non dare sospetti ai loro uomini a darsi il cambio per vegliarla, nutrirla e ristabilirla, al fianco della sempre efficiente zia Amber. Nonostante l'iniziale sgomento di aver ritrovato la nipote in quello stato devastante, la zia si era ripresa e quel poco tempo che passava a casa cercando di riposare, abbracciava il suo bimbetto che chiedeva sempre della sua giovane compagna di giochi. Uno scoppio di lacrime le sovvenne mentre stringeva al seno il piccolo e George gli toglieva il fardello per consolarla. Solo tra le sue mura domestiche si sfogava del senso di frustrazione che la aggrediva ogni qual volta pensava al destino di sua nipote. - Sarebbe mai tornata normale? Avrebbe ancora camminato? E la vista? E la voglia di vivere? -

Tante domande le frullavano nella testa ma doveva riposare per dare il cambio alle donne che vegliavano su di lei.

E le visite puntuali di quel giovane? Era diventata ormai una presenza costante. Portava ogni ben di dio per il benessere di Sheila. E non solo alimentari. Nei primi giorni della degenza arrivò scortato da un carretto con guanciali e materassi nuovi di zecca. Di piuma d'oca, soffici e tremendamente costosi. Si fece aiutare dai valletti mentre sollevava con delicatezza la ragazza. Quando la depose su quel soffice materasso, diverso dal sacco ripieno di fieno su cui giaceva, Sheila emise un dolce gemito, ed il suo respiro scaldò il collo di Alb che tremò a quel contatto.

Senza farsi notare dalla zia, le depose un casto bacio sulla guancia e le sistemò il nuovo cuscino dove quella testolina adorante riposava. Stava ore a guardarla, sperando in un suo movimento. Dove aveva preso i pugni sul viso c'erano delle chiazze violacee che grazie agli unguenti suoi e della zia stavano schiarendosi man mano. Il taglio sul labbro inferiore era ancora ben visibile anche se si stava cicatrizzando perfettamente. Le sfiorava delicatamente i piccoli ricci rossi che stavano ricrescendo, incorniciandole il martoriato viso come fosse un angelo. Con lo sguardo sfiorava il collo eburneo, al quale appeso c'era sempre il suo dono color zaffiro. Un sorriso sforzato lo accompagnò, proseguendo lo sguardo fino alla camiciola che le ricopriva il seno fiorente. Se n'era accorto quando l'aveva spogliata per lavarla e medicarla, nonostante le botte, il corpo di Sheila era bellissimo per lui. Desiderabile, perfetto. Nel tempo che si erano lasciati, lei era sbocciata. Ed aveva avuto tutto il tempo per guardarla, ma non con malizia e cupidigia. Il suo giovane corpo risvegliava in lui quell'emozione che aveva provato quei giorni di tanti anni fa, quando imbarazzato la studiava mentre si lavava i capelli all'abbeveratoio. Ora non c'era imbarazzo, solo un sano desiderio che aveva tramutato quell'amicizia in qualcosa di più. Ma non poteva, non doveva importargli di sé stesso in quel momento.

Anche lui era cambiato. E lo sapeva, si era alzato di statura, il viso gli si era affinato ma sempre brillavano quegli occhi zaffiro. Se non ci fosse stato nessuno le avrebbe anche parlato. E quando poteva lo faceva. Sussurrava frasi come "Sheila ti prego... torna da me. Vieni nell'orto a parlarmi dei fiori, delle tue piante officinali. Sheila, non abbandonarmi... ti prego." Quelle parole, ripetute ogni giorno all'infinito, iniziarono a farsi strada nella mente annebbiata della ragazza... Sheila non riconosceva quella maschia voce che le sussurrava quelle dolci parole, aveva un che di familiare, ma era troppo profonda. E nei suoi sogni che tramutavano in incubi vedeva solo due gemme zaffiro che le illuminavano il tunnel nel quale era sprofondata. A volte muoveva le dita delle mani come per prenderle e zia Amber veniva richiamata al capezzale per aiutarla a muovere tutto il braccio.

Erano riusciti a portare a forza il dottore del paese almeno a farle diagnosticare quante male potesse stare nel corpo, visto che nello spirito ancora non si poteva verificare. Gli furono promesse alcune bottiglie di sidro fatto dalla vedova O'Sighley e per questo si mosse date le sue convinzioni contro i poveri. Dopo un accurato esame, le furono diagnosticate tre costole rotte, una vertebra incrinata, il braccio sinistro rotto e solo ecchimosi alle gambe. Il dottore era preoccupato per l'eventuale perdita della vista da un occhio e della possibile sordità di lei.

Propose di steccare il braccio rotto e di procurare una benda per quando la ragazza, da sveglia, potesse metterselo al collo. A quello pensò Albert, che aveva un fazzoletto azzurro molto grande nelle bisacce della sua sella. Lo appoggiò alla sedia nell'attesa del suo prossimo utilizzo.

Il dottore non si ricordava di aver visto mai una persona così ridotta, nemmeno chi era finito accidentalmente sotto un carro. Non volle nemmeno portarsi via il sidro. Ma ringraziò la vedova e le chiese se poteva andarla a trovare uno di questi giorni, magari per berne un bicchiere insieme. "Forse certe disgrazie possono portare buoni frutti..." rimuginò fra sé, facendosi convinto che non tutti i poveri erano sporchi e tenevano le loro case male, avendo notato l'ordine e la pulizia che regnava nel piccolo rifugio della giovane malata.

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