Il venti otto di Aprile era il giorno dello spettacolo. Mia madre, nel suo abito grigio e bianco, sembrava l'essere più delicato esistente sulla Terra e nonostante l'età, sembrava ancora che avesse vent'anni. I suoi guanti bianchi facevano sembrare le sue mani qualcosa di etereo. Mia madre era la delicatezza ed eleganza messe insieme, non sapevo come facesse a mantenersi sempre fresca e giovane nonostante le continue tempeste della vita. Forse qualche entità superiore aveva avuto pietà di lei e le aveva donato la giovinezza eterna? I suoi occhi però erano sempre spenti. La sua anima era spenta. Forse una serata a teatro l'avrebbe distratta un po'. Mi faceva male vederla vittima di un marito che non amava e che non l'amava. Avrebbe potuto essere felice e invece la Moira crudele le aveva strappato l'uomo della sua vita.
Guidai mia madre fino al palchetto, facendola accomodare sulla sedia. Mi sembrava quasi assente, quel giorno, come se fosse un automa. Si sedette con la sua solita grazia, ma non erano dei movimenti naturali. Avvicinai la sedia accanto alla sua e mi sedetti al suo fianco, tenendole la mano teneramente.
- Sembrano passati secoli dall'ultima volta che sono entrata in un teatro. - incominciò - E proprio quel giorno ho incontrato tuo padre per la seconda volta.
Sorrisi intenerito.
- Mi raccontate sempre di quel giorno.
- È durato solo un anno, eppure era come se ci conoscessimo da sempre... - Sospirò - Ero finalmente felice.
Mi avvicinai di più a lei e le sussurrai:
- Madre, ma adesso non dovete più pensare al passato... vi ho portata qui per distogliervi dai pensieri.
- Perdonami, figlio mio.
Le sorrisi dolcemente e le baciai la guancia, strappandole un sorriso, per poi tornare con lo sguardo sul palcoscenico. La maggior parte dei presenti avevano già preso il loro posto e poco dopo applaudì l'ingresso del compositore.
Era elegante, persino più elegante della prima volta in cui l'avevo visto, abbastanza da far sembrare i miei abiti della stessa importanza di quelli d'un uomo del popolo. Che vivesse meglio di noi lo si poteva vedere anche a un chilometro. Mentre pensavo così l'orchestra suonava già. Mi voltai verso mia madre, che nel frattempo aveva poggiato una mano delicata sul bordo della ringhiera del balconcino e si era piegata in avanti e guardava verso il basso, scrutando con austero interesse la scena. Il suo volto si era fatto più serio di prima, ma nei suoi occhi avevo intravisto come un guizzo. Mi avvicinai anch'io maggiormente al balconcino, cercando di scoprire cosa effettivamente le avesse suscitato quella vitalità.
Non guardava la scena. Fissava dritto verso il Maestro B.
Lo guardava con un certo interesse ed era quasi stupita di vederlo, non capivo cosa le stesse succedendo, quando vidi delle lacrime solcarle lente le guance pallide. Le strinsi la mano con la quale lei continuava imperterrita a tenere la mia.
- Madre
Sussurrai.
L'atto era quasi giunto al termine e la protagonista si struggeva e come un cigno prima di morire cantava il suo dolore.
- Madre...!
La chiamai un po' più forte, ma lei continuava imperterrita a fissare quel musicista, piangente. La protagonista era ormai accovacciata a terra, mentre il suo canto pian piano si affievoliva e con essa l'orchestra, quasi a compatire la sofferenza del personaggio.
Vidi le ciglia di mia madre battere lentamente, quasi come prossima al sonno. Ero abbastanza vicino da sentire un nome uscire flebile dalle sue labbra rosse, similmente ad un sospiro:
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Storia di un'anima nera
Tarihi Kurgu"Non sapeva che fossi prigioniera del Passato, un Passato al quale era difficile voltare le spalle." Milano, 1830.