Capitolo III

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Lo avevo ripescato a pochi metri dal teatro, lì era pieno di negozi e cafè, un posto pieno di vita, la vita che sembrava aver perso lui in quel momento e con la sua anche la mia sembrava essersi volatilizzata. Vederlo in quel modo mi uccideva. Lo vidi infilarsi dentro uno di quei cafè, decisi di seguirlo, probabilmente voleva ubriacarsi. Entrai lentamente, senza perderlo d'occhio, stringendomi nel mio scialle nero. Mi guardai attorno e presi posto a un tavolo un po' distante dal suo, sentivo i suoi occhi di ghiaccio su di me.

        - Avete del vino buono?

Chiese al cameriere che gli si era avvicinato per servirlo.

        - Dell'ottimo vino locale rosso... dell'ottimo Oltrepò, oppure...

        - Portatemelo per favore, grazie.

        Non gli diede il tempo di terminare, il cameriere subito si dileguò chinando il capo. Mi distolse dal fissarlo, l'arrivo di un altro cameriere, stavolta si avvicinava al mio tavolo: ordinai un thè. Che fosse distrutto lo si poteva vedere a un chilometro di distanza, il cuore mi piangeva, volevo poter fare qualcosa per lui... ma cosa?

        Subito mi balenò un'idea in testa: e se l'avessi portato a casa? La cosa mi pareva altamente improbabile, ma non mi rimaneva che aspettare l'occasione giusta. Già dopo un'ora la prima bottiglia di vino era andata e lui sembrava già non starci più di tanto con la testa, aveva buttato giù ogni bicchiere di vino con la stessa non-chalance di quando si beve un bicchiere d'acqua. Quando stette per ordinare la seconda bottiglia, io scattai dalla sedia, avvicinandomi con la stessa velocità di un furetto al suo tavolo.

        - No! Basta così!

        Esordii guardando freddamente il cameriere.

        - Il signore è con me, lo porto via, ditemi quanto paga.

        Con la coda dell'occhio vidi che Vincenzo mi aveva lanciato delle frecciate con lo sguardo.

        - Signorina Bordeaux, siete venuta per rovinarmi ulteriormente la serata?!

        Per un momento avevo pensato che non si ricordasse più di me.

        - Non sono io quella che vi sta rovinando la serata, Maestro. - Risposi freddamente. - Credete davvero di sentirvi meglio affondando il dolore nell'alcool? Non fate altro che torturarvi il fegato, così.

        Lui rise ironico.

        - Da quando in qua vi preoccupate dei perdenti?

        - Io mi preoccupo di chi mi pare e piace e Voi non siete un perdente. Non si può pretendere che nella vita sia tutto rose e fiori, prima o poi ci si presenta una nuova occasione per rifarci.

        - Siete anche filosofa, adesso... Sentite, non ho voglia di perdere tempo con una ragazzina, perciò levatevi di torno e lasciatemi bere in santa pace.

        Gli strappai di mano il bicchiere da cui stava per bere l'ennesimo sorso.

        - Voi non siete così, lo volete capire o no? - Lo avevo afferrato per il bavero della giacca scura. - Non dovete lasciarvi andare così, non permetterò che vi riduciate a un ammasso di spazzatura, io voglio aiutarvi!

        Senza rendermene conto, i miei occhi color smeraldo si erano velati di lacrime e dopo poco cominciai anche a sentire un nodo in gola e un grosso peso sul petto.

        - Lasciatemi stare, non voglio l'aiuto di nessuno!

        Mi urlò contro spingendomi lontano da lui. Non tanto la spinta, ma quell'urlo sembrò quasi come una coltellata dritta al cuore. Lo guardai come un cucciolo ferito, profondamente delusa, arrabbiata, afflitta.

Storia di un'anima neraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora