Capitolo XII

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Dopo essermi vestita di tutto punto, presi una carrozza e tornai all'Italien. Il mio obiettivo era quello di trovare lui e se non l'avessi trovato quel dì, sarei tornata in quel teatro giorno per giorno, fino a quando non l'avrei incrociato.
Aspettai diverse ore prima che le prove di alcuni cantanti finissero, le loro voci riecheggiavano per tutto il teatro. Sentivo il coraggio piantare le sue radici dentro di me, fino a formare una corazza impenetrabile. Sentivo di star facendo la cosa giusta, sentivo le sabbie del tempo ritornare sulle mie mani e smettere di scivolare via. Sentivo tutte le ferite rimarginarsi, tutti i pianti asciugarsi e i sospiri placarsi.
Ero pronta a spiccare il volo.
Mi addentrai nel teatro e raggiunsi i camerini. Chiesi a una maschera dove si trovasse la stanza del Maestro e una volta raggiunta, mi sedetti lì. Nella penombra di candele ormai consunte su sfarzosi candelabri d'argento intarsiato. Mi tolsi il cilindro, lasciando respiro al mio cervello, che finalmente sembrava aver trovato pace. Mi sentivo finalmente libera. Mi sentivo un'altra donna. Rinata dal sangue del proprio aguzzino.
Dopo la pace apparente del cervello, però, ecco che si risvegliava il cuore. A lungo era rimasto sopito sotto la coltre ghiacciata della Costrizione: ero costretta a subire, ero costretta a tacere, ero costretta a non avere più un'anima.
Nella penombra e nella pace di quella piccola ma sfarzosa stanza, regnava il silenzio e tutt'intorno sembrava un deserto. Non riuscivo nemmeno più a sentire le voci lontane di quel quartetto di tenori. Forse erano finite le prove.
Rimasi un'ora, lì dentro, o forse pochi minuti. Da sola con le mie emozioni, sommersa da mille pensieri che si sovrastavano tra loro.
Improvvisamente, dei passi leggiadri interruppero quel silenzio e spaccarono in mille pezzi il torpore delle mie riflessioni. Il mio cuore ebbe un sussulto. I battiti accelerarono, il respiro si fece più pesante. Pochi istanti mi separavano dalla felicità completa. La porta si aprì, la luce del corridoio illuminò la stanza. Tutta quella tensione non mi aveva nemmeno fatta rilassare su quella poltroncina di morbido velluto. Credevo di stare per morire.
Vidi la sua sagoma chiara spuntare da dietro la porta, che si apriva sempre più. Scattai in piedi come se mi avessero punto con uno spillo.
Finalmente la porta si spalancò e lui rimase immobile sulla soglia, guardandomi cone se avesse appena visto un fantasma.
- Alla buon'ora... Maestro.
Sorrisi.
- Claire... impossibile.
Non era cambiato affatto. Era passato tanto tempo, ma lui non era cambiato di una virgola.
- Vincenzo, ho atteso per anni questo momento! Finalmente ti ho trovato.
Vincenzo entrò e chiuse la porta dietro di sé.
- Come hai fatto ad entrare?
Disse mentre mi passava vicino per raggiungere la toeletta e posò sul mobile la cartella che si portava sottobraccio. Odorava di colonia. Lui mi guardò. Io mi scostai una ciocca di capelli dietro le spalle con fare sensuale e sorrisi ancora:
- Trucchi del mestiere...
Il Maestro si lasciò sfuggire una risata composta.
- Non sei cambiata affatto.
- Mi sono mantenuta per te, amore mio...
Azzardai. Lui fissò lo sguardo nel mio e si fece serio, per poi darmi le spalle mentre sistemava le sue cose.
- Ho saputo che ti sei sposata, subito dopo la nostra separazione...
Disse con tono freddo.
- Sì, è vero. Ma il mio amore per te non è mutato, Vincenzo.
Lo sentii accennare una risatina amara:
- Come puoi dire certe cose?
- Ho sofferto anch'io, cosa credi?
Lui si girò di scatto, sembrò essere intenzionato a scaraventare tutta la sua rabbia su di me. Ma qualcosa lo bloccò. Io sorrisi.
- Tu, magnifica creatura celeste, sei venuto al mondo per sopportare l'essere più meschino che esista... me.
Man mano che parlavo, il mio sorriso diventava sempre più amaro fino a trasformarsi in una smorfia mentre il pianto saliva in gola.
- Tu mi odi...
Lui sospirò e mi si avvicinò. Mi posò una mano sulla guancia e mi parlò dolcemente:
- Claire, Claire, Claire... io non ti odio. Non ti ho mai odiata. Tu non meriti odio. Tu stessa sei fatta di odio... e questo ti fa soffrire. Sei fragile e dimostri di essere forte. Sei disperata e dimostri di essere felice. Tu non sei felice. Te lo leggo negli occhi.
Mi distaccai. Presi una sigaretta dalla mia borsetta e un fiammifero, accesi. Sentivo il suo sguardo su di me, pesante. Come un masso sulle mie spalle, sul mio intero corpo. Mi schiacciava. Sollevai lo sguardo soffiando il fumo. Incrociai quei bellissimi occhi di ghiaccio che mi avevano colpito sin dal primo momento in cui li avevo visti. Passarono diversi secondi nel completo silenzio, forse minuti. Era certo che guardarlo nelle iridi cerulee corrispondeva con il fermare il battito delle scure ali di quell'uomo senza volto e senza età che chiamano Tempo. Fuggevole e inarrestabile.
- Da quanto tempo fumi?
Mi chiese.
- Vuoi rovinarmi la serata?
Lui sorrise sonoramente.
- Mi ricordi me, quella volta a Milano, dentro al café.
- E' stato tanto tempo fa.
Risposi distogliendo lo sguardo.
- Ma tu non sei cambiata.
Tornai a guardarlo.
- Sei rimasta come allora... una ragazzina innamorata di un musicista emergente.
- Vedi ciò che vuoi vedere, Vincenzo.
- Forse. - rispose lui - Ma ciò non mi vieta di guardarti ancora negli occhi e vedere...
S'interruppe, lasciando sospesa la frase.
- Cosa?
Appoggiai il braccio sulla gamba accavallata, reggendo la sigaretta a mezz'aria.
- Da quanto indossi i pantaloni?
Cambiò improvvisamente discorso. Io mi alzai e lo guardai dritto negli occhi Mi avvicinai a lui.
- Cosa vedi, Vincenzo?
- Avresti dovuto indossare uno dei tuoi abiti.
Posai la sigaretta su un posacnere e lo afferrai per le braccia.
- Vincenzo. Dimmi. Che cosa vedi.
Mi guardò negli occhi, sentii qualcosa sciogliersi dentro di me, lentamente.
- Tutto il tuo amore per me.
Rimasi in silenzio. Lui mi afferrò il viso tra quelle morbide e candide mani da pianista e mi baciò. Mi erano sembrati secoli dall'utima volta che ricevevo un bacio come quello, un bacio come solo lui sapeva darmi. Io mi strinsi a lui, sollevandomi persino sulle punte. Strinsi la sua giacca tra le dita, per poter sentire la sua carne, le sue ossa, il suo calore! Per non illudermi che fosse un sogno. Si distaccò dopo qualche attimo ed io mi lasciai sfuggire un sussulto, come se fino a quel momento avessi trattenuto il respiro.
- Mi hai mentito, Claire. L'ho sempre creduto. Tu mi amavi troppo per tradirmi. Eri già incinta quando andasti a lavorare dai Baccaria. Il bambino nacque troppo tempo in anticipo, e per nascondere tutto andasti a dire in giro che fosse prematuro.
Sorrise. Non riuscii a capire se fosse un sorriso lieto o amaro. Lo guardai, avrei voluto rispondergli, ma non trovavo le parole, non sapevo cosa dire.
- Voglio solo sapere una cosa da te.
Sentii nuovamente le lacrime agli occhi.
- Perché. Perché lo hai fatto, Claire?
Le mie labbra si scollarono lentamente, presi fiato.
- Eri troppo importante, per me. Non volevo che il nostro amore influisse sul tuo genio. Che cosa avrebbero detto di noi? Di me? Avrei potuto essere isolata. La figura del Maestro B. macchiata! Cos'avresti fatto tu, al posto mio?
- Avresti potuto dirmelo, Claire. Avresti dovuto!
- Per far cosa?! - Urlai, scoppiando in lacrime. - Io ti amavo troppo. Ma odiavo me stessa... Avrei voluto uccidermi, Vincenzo. Mettere fine alla mia vita per permettere alla tua di fiorire. Per permetterti di raggiungere l'apice...!
- No...
Mormorò scuotendo il capo.
- Era tutto ciò che volevi! Sapevo che lo volevi! L'ho sempre saputo. Da quella volta al café. Quando ti vidi affogare il tuo dolore in una bottiglia di vino. - Feci una breve pausa e scossi appena il capo. - Ho preso il tuo dolore, Vincenzo, l'ho preso con me, l'ho assorbito dentro la mia anima. Colma solo di rimpianti e delusioni. L'ho fatto diventare parte di me. Ma ho capito troppo tardi che non potevo amarti. Ero una prostituta. - Gli accarezzai una guancia. - La tua carriera sarebbe andata in fumo per colpa mia. Non me lo sarei mai perdonato.
Vincenzo continuava a guardarmi negli occhi. Scosse il capo e mi strinse al suo petto. Sentii il pianto accelerare, i singhiozzi inondarmi i polmoni, distruggermi il diaframma.
- Tu sei folle...
Mormorò.
- Ma io la amo, questa folle. Non mi è mai importato chi tu fossi. Avresti potuto essere la creatura più orripilante di questo mondo, ma io ti avrei amata. Ti avrei amata nonostante tutto. Ti avrei aiutata. Li avremmo combattuti assieme.
Mi distaccai e lo guardai, ci vedevo appannato per via del velo di lacrime che mi ricopriva gli occhi.
- Ma... allora... tu...
- Sì. Una donna indispettita, senza voglia di vivere, accecata da un desiderio mai esaudito, trovava irritante il fatto che io non avessi voluto soddisfare le sue voglie. Mi sputò in faccia tutto quanto.
- E... e Voi?
- Io la guardai. Non dissi nulla e me ne andai. Da quando ti ho incontrata, Claire, ho capito che non avrei potuto amare nessun altra che non fossi tu... amore mio.
E ci baciammo. Ci baciammo come se fosse stata l'ultima volta. Con crescente passione. Desiderio di ossigeno. La sua presenza per me non era altro. Ossigeno. Ed era ora che respirassi. Dopo anni di apnea.

Storia di un'anima neraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora