Capitolo 5

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Mettersi a nudo

"Saranno le pizze", disse lui alzandosi dal letto per andare ad aprire. "Ma che caz-" esclamò uscendo svelto fuori in corridoio guardandosi intorno.
"Ehi Brandon! Che succede?", gli chiesi curiosa, "Sono arrivate o no?".
Avevo fame ed ero curiosa di capire cosa diavolo stava combinando lì fuori. Ormai le cose si erano tranquillizzate tra noi e inconsciamente, anche tutta l'ansia e lo stress erano svaniti, però continuavo a pensare in un angolo non troppo remoto della mente, che tutto ciò non era affatto un bene. Dovevo rimanere con le difese alte. 
" Brand-", stavo per richiamarlo non ricevendo risposta, ma lui mi precedette.
" Stai zitta!" , esclamò guardandomi con sguardo truce.
Ma che cavolo gli era preso?
Che avevo detto di male?
Rimasi seduta dov'ero a braccia conserte, nonostante la curiosità mi mangiasse viva. Provai a sbirciare allungando il collo, ma era tutto inutile, non vedevo e non capivo niente.
Stavo per decidermi ad alzarmi quando finalmente Brandon rientrò in camera. Aveva lo sguardo serio ed arrabbiato.
"Che succede?". Ero preoccupata e il mio istinto mi diceva che quello sguardo non prometteva niente di buono.
Lui mi guardò, spaventato e arrabbiato. Si vedeva che stava lottando con se stesso per qualcosa che purtroppo non seppi decifrare e avrei tanto voluto aiutarlo in qualche modo, ma non sapevo come.
"Era lui".
Quelle parole mi fecero raggelare il sangue. Non poteva davvero avermi seguito fin qui. O no? Entrai nel panico. 

 Sapevo che venire qui non era stata una buona idea. Sapevo che avrei dovuto andarmene subito e adesso? QUELLO era qui ed io non ero pronta. Nella mia vita raramente mi capitava di soffrire d'attacchi d'ansia, ma evidentemente c'era una prima volta per tutto.  

"Ho provato a seguirlo, ma poi sono tornato indietro. Non potevo lasciarti sola".
Non significava quello che avevo capito vero? Ci stava provando in un momento del genere? Non volevo pensarci, non adesso. Era troppo da sopportare in una giornata.
La mia espressione doveva essere abbastanza esplicita perché Brandon mi venne vicino inginocchiandosi davanti a me.
"Ehi, tranquilla, andrà tutto bene" , sembrava dirlo più a se stesso che a me,"ci sono io con te. E ti prometto che non permetterò a nessuno di farti del male" .
Mi guardò serio con quei bellissimi occhi e mi convinse. Poco dopo bussarono nuovamente alla porta e stavolta saltammo entrambi per lo spavento. Come prima, fu Brandon ad aprire e, fortunatamente, era solo il fattorino con la pizza che finalmente era arrivata.
Dico io, poteva arrivare un po' prima anziché farci morire di paura?

Mangiammo in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Si respirava un'aria carica di tensione e di paura ed io non ce la facevo più a sopportare tutto questo. Volevo rompere quell'atmosfera tombale, per cui cercai di pensare a qualche domanda da porgli. Per conoscerlo meglio almeno.
"Senti, ma il tuo amico" , e indicai il secondo letto, "non torna? ". Wow, mi stupii della mia immensa stupidità, perché tra tutte le domande, scelsi quella più assurda. Brandon mi guardò, incuriosito dalla mia domanda.
"Chi Josh? No. Di solito se ne sta sempre nella camera della ragazza di turno a fare cose cui preferiresti non sapere" . Mi disse tutto d'un fiato.
Bene, informazione numero uno : il suo compagno di stanza si chiama Josh ed è un'arrapato schizzofrenico. Buono a sapersi.  
" Capisco", dico, cercando disperatamente di racimolare qualche altro scoop.
"Che c'è? Sembra che il tuo cervello stia per esplodere", mi disse sghignazzando per poi prendere un altro trancio di pizza.
Ma dico io, quella sua boccaccia non aveva filtri?
" E va bene", dico sbuffando rumorosamente e poco alla Miriam McCallister, "Sto cercando di estrapolare informazioni su di te", ammetto infine.
" Dolcezza, se avevi tutta questa curiosità ti bastava andare su facebook!", sembrava davvero divertito dalla battuta, peccato che a me la sua affermazione abbia avuto tutt'altro effetto.
" Beh, che tu ci creda o no, caro sapientone dei miei stivali, preferivo lo facessi di tua spontanea volontà" e per rafforzare il concetto incrociai le braccia, "E nessuno ti ha dato il permesso di dare soprannomi".
Lui sentendosi colpevole alzò entrambe le mani in segno di resa.
" Hai ragione, scusami. Chiedimi tutto quello che vuoi e ti risponderò sinceramente", era serio ma nella sua voce sentii un pizzico di divertimento che mi infastidì. Cominciavo di nuovo a non sopportarlo più.
"Su tutto tutto?" , gli chiesi poco convinta.
" Su tutto", mi rispose con sguardo malizioso, facendomi avvampare e mettendomi a disagio. Sapevo che non con uno così avrei dovuto stare SEMPRE allerta.
Mi schiarii la voce e cominciai con il mio interrogatorio.
" Bene", d'improvviso tutta la mia spavalderia svanì lasciandomi sola con l'agitazione che aumentava.
" Di dove sei?", abbassai gli occhi. Il suo sguardo mi stava letteralmente uccidendo. Poi parve tranquillizzarsi. 
" Tucson, Arizona", mi rispose, "tu"?
"B-Boston, Massachusetts". Lo guardai diffidente, non sapendo cosa ne avrebbe fatto di queste informazioni. Poi, ricordando la sua risposta di poco prima, sgranai gli occhi.
"Arizona? E cosa ti porta a Philadelphia? Quasi dall'altra parte del continente!?!", esclamai sorpresa.
" Questo potrei chiederlo anche a te", mi disse guardandomi intensamente.
"E questo cosa c'entra scusa!? Boston non sarà vicinissima, ma non sta certo a miliardi di chilometri da qui!". 

Ero agitata. Per un motivo o per un altro entrambi avevamo sviato il discorso, senza rispondere alla vera domanda dell'altro. Ma se credeva che avrei ceduto per prima si sbagliava di grosso.

"Avevi detto che saresti stato sincero!", lo rimproverai.
" E lo sono stato!", mi rispose meravigliato," ma ciò non significa che non mi sia concesso di sviare qualche domanda".
Purtroppo era vero.
"Ok", ero scettica sul dare altre informazioni su di me, perché non riuscivo a capire fino a che punto potessi davvero fidarmi di lui, ma se la sincerità ne genera altra, almeno ne ricaverò qualcosa.
"Ti basta sapere che, essendo una delle più prestigiose facoltà americane dopo Harvard o Yale e facendo parte della Ivy League, non credo che una delle università di Boston mi avrebbe accontentata. Volevo il meglio", dissi autoritaria e fiera di me.
"Perdonami, ma Harvard è a Boston", concluse lui come se fosse la cosa più ovvia al mondo. Ed effettivamente lo era. Che stupida sono stata. Non perché non sapessi dove si trovasse Harvard, certo che lo sapevo, chi non lo sa, ma per la scusa che gli avevo dato, ovvio. Volevo strapparmi i capelli, avevo appena fatto, inconsapevolmente, la gaffe più brutta della mia vita.
"C-certo, lo so", tentai invano di rispiegarmi, ma evidentemente più cercavo scuse più mi sembrava di arrampicarmi sugli specchi e lo stridore delle mie unghie mi stava facendo impazzire. Mi demoralizzai e capii che la sincerità era ormai diventata la mia unica scappatoia. Speravo solo che almeno anche lui lo sarebbe stato. 
"E va bene", sbuffai. 

Mi sentivo ridicola, non solo con molta probabilità mi stava prendendo per una stupida, ma anche infantile. Complimenti Miriam, aggiungiamo l'ennesima umiliazione a le miliardi che già hai fatto.

"I miei si sono separati dopo il diploma. Mio padre è rimasto a Boston nella nostra vecchia casa, mentre mia madre è venuta a vivere qui, a Philadelphia. Io mi trasferii con lei, mollando tutto e tutti, e le alternative universitarie, diciamo, erano poche".
Mi stupii della facilità con cui mi uscirono le parole, non ero solita parlarne con qualcuno. Tranne con Stacey e Loren, non volevo che altri sapessero dei miei problemi familiari o i miei punti deboli, per questo non volli dire niente a Brandon dell'aggressione, non volevo farmi vedere così debole e indifesa. Adesso invece qualcosa era cambiato, forse sentivo che, nonostante tutto, Brandon non mi avrebbe giudicata e questa consapevolezza mi avvicinava, stranamente, sempre di più a lui.
Lo guardai per accertarmi della sua reazione, ma lui era lì, seduto sul letto, rilassato, che mi guardava con quegli occhi intensi, come se le mie parole non l'avessero minimamente scalfito.
"Se ti aspetti che ti dica mi dispiace, non illuderti, non succederà".
Come volevasi dimostrare.
Non seppi come interpretare le sue parole, se gentili o menefreghiste.
"Se ti fa sentire meglio, non lo pensavo affatto", dissi decisa.
"Ne dubito. Avevi proprio l'espressione di chi si aspettava qualcosa che, per tua sfortuna, non arriverà", il suo sguardo mi stava sfidando.
Ci rinuncio. Chi lo capisce è bravo. Prima fa tutto il gentile, 'il cavaliere che per proteggere la dama la porta nella sua dimora', poi fa lo stupido e infine lo sbruffone. È l'essere più lunatico e affascinante che abbia mai conosciuto, questo è certo. Rischiava di farmi impazzire. In tutti i sensi.

Salve a tutti, spero che la storia vi piaccia. Questo capitolo forse è un po' breve, scusate.
Presto pubblicherò il seguito, stavolta secondo il pensiero di Brandon . Se vi piace commentate o mettete "mi piace" per favore.
A presto. Baci




Non lasciarmi, resta al mio fiancoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora