Capitolo 6

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Barriere

Brandon pv

Passammo il resto del tempo mangiando, senza dirci una parola, incrociando di rado gli sguardi; Miriam lo distoglieva subito, non so se per timidezza o perché ancora non si fidava di me. Tutto il nostro rapporto, se così lo si poteva chiamare, aveva avuto degli alti e bassi degni delle montagne russe. Ammetto che gran parte della colpa era mia, ma ogni volta che entravo nell'orbita di questa ragazza, impazzivo, letteralmente. Non sapevo più cosa mi passasse per la testa e non facevo altro che peggiorare la situazione, già precaria.
Sin da quando sono entrato alla UPenn ho notato questa bellissima ragazza solitaria, sempre per le sue, circondata da milioni di ragazzi che le sbavano dietro. Non mi piaceva.
Anche se frequentavamo corsi differenti, lettere lei ed economia io, molto spesso mi era capitato di incrociarla per il campus o in biblioteca, sempre seguita da quelle sue due amiche; non conoscevo i loro nomi, per me erano la bionda statuaria e la rossa mingherlina, semplice; così, poco tempo dopo, ero venuto a sapere del suo, non so se adatto a questo punto, nomignolo del cavolo. Non che mi importasse qualcosa, mi piaceva guardarla da lontano negli allenamenti, mentre correva, con quei pantaloncini che le fasciavano perfettamente quel sedere da premio nobel e la canottiera madida di sudore che non lasciava nulla all'immaginazione. Era stupenda. Non mi piaceva per niente come persona, ma cavolo, ammetto che ne ero affascinato.
Sembrava facesse a gara col vento e ogni volta credo che il vincitore non fosse lui.
Non sono tipo da storie serie o troppo durature, non mi era mai capitato fino ad ora di trovare la persona giusta ma, dal giorno in cui l'avevo soccorsa, non ero più riuscito a togliermela dalla testa. Riusciva a provocarmi e a farmi imbestialire in un nano secondo e ad addolcirmi e rendermi protettivo il momento dopo, non so che incantesimo mi avesse fatto, ma quella di sicuro era una strega, altro che regina. Persino adesso, con una mossa non saprei se intelligente o meno, l'avevo persino portata nella mia camera al dormitorio. Cioè mi ero autoproclamato suo cavaliere. Neanche fosse la mia ragazza?!
Però la desideravo da impazzire. Era brillante, attraente, ironica e, dietro una facciata da perfettina da far schifo, ero sicuro si nascondesse un animo sensibile.
Da quando ci siamo conosciuti ufficialmente ne ho avuto sempre la prova ma, ovviamente, non potevo ancora sbilanciarmi. Sentivo che da parte sua non le ero totalmente indifferente, per cui, dentro di me, cresceva un briciolo di speranza, non ero mica masochista, io non ero il tipo di correre dietro qualcuna senza prima avere la certezza che potesse esserci una minima possibilità, ma dovevo convincerla che non ero uno qualunque, che non le avrei fatto nulla di male; non l'avrei mai toccata senza il suo permesso, nemmeno nei miei pensieri più reconditi. Certo adesso questo potrebbe farmi passare per cretino, lo ammetto, anche i miei amici se l'erano legata al dito e non perdevano occasione per sfottermi, ma ero un tipo all'antica.
Il fatto che ci fosse qualcuno che la perseguitava, fortunatamente per me, anche se era brutto da dire, la rendeva più docile ed, in un certo senso, persino dolce. Ma forse ero io che mi stavo facendo trasportare da tutta questa storia. Cavolo mi aveva proprio stregato, maledizione.
Quando prima avevano bussato alla porta ero riuscito a vedere parzialmente il volto di quello stronzo, ma lo avevo riconosciuto subito. Era Peter McDonovan, uno dei terzini destri della squadra.
Come avessi saputo che era lo stalker? Pura intuizione, nessuno sano di mente busserebbe alla porta per poi andarsene. A meno che non fosse ubriaco o un bambino e da quello che avevo visto non era nessuno dei due. Se Miriam non fosse stata lì in camera a chiamarmi in continuazione sarei andato a cercarlo, quel bastardo e adesso non sarei qui a domandarmi perché le stia facendo questo. Non so che intenzioni abbia, ma di sicuro gli spaccherò la faccia appena lo avrò sotto mano.
Mi era sempre sembrato un tizio non tanto con la testa apposto e adesso ne avevo avuto la conferma e doveva pagare, ma soprattutto dovevo scoprire quale piano stava architettando quel pazzo maniaco.

***

Dopo aver mangiato andai a prendere delle coperte che sistemai ai piedi del mio letto. Il dubbio di Miriam riguardo il letto di Josh mi aveva convinto a seguire il suo esempio. Era vero che lui non c'era mai perché impegnato con la ragazza di turno, ma effettivamente quel letto, che io sappia, non era propriamente immacolato. Meglio essere prevenuti su certe cose.
"Ma come, alla fine dormi a terra?", mi chiese Miriam.
Mi sembrava sbalordita e non potevo fare a meno di pensare che sensazione sarebbe stata dormire insieme a lei, avvinghiati.
Rischiavo un erezione per tutto il resto della serata, ecco cosa sarebbe successo.
Dovevo tenere a freno i bollenti spiriti e farmi una doccia fredda, non prima di aver tentato un approccio però. Con lei qualsiasi tentativo, che fosse finito bene o in una sberla, ne valeva sempre la pena per arrivare al premio. A volte mi facevo davvero schifo, ma con lei era sempre così, un tira e molla continuo di battibecchi ed occhiate furtive.
"Perché? Forse preferiresti avermi lì con te stanotte?", le chiesi con un mezzo sorriso.
Ero proprio uno stronzo. Fosse stata un'altra non mi sarei mai sognato di comportarmi così, ma Miriam mi agitava dentro facendomi dire cose che mai avrei sognato e con quel suo caratterino, non faceva altro che portare a galla parti di me che non conoscevo.
"Fai schifo! Sei un pervertito!", mi disse lanciandomi il cuscino addosso arrabbiata.
"Ehi! Stavo scherzando!", mi giustificai io, rilanciandoglielo.
"I tuoi scherzi non fanno ridere nessuno!".
Mi guardava con una specie di broncio adorabile, incrociando le braccia sotto al seno, che non facevano che evidenziarglielo ancora di più. Cazzo ero fregato. Quella sera se non mi davo una calmata rischiavo di saltarle addosso nel sonno.
" Non sei affatto quello che gli altri credono. Il ragazzo perfetto, lo studente modello e bla, bla, bla", mimava con la mano con una faccia buffa.
Non sapeva quanto avesse ragione in quel momento.
"E chi sarei allora, sentiamo?", la sfidai.
"Sei solo un figlio di papà che crede di essere il padrone del mondo e di poter accalappiare qualunque donna col suo sguardo seducente", mi disse tutto d'un fiato.
Eliminai volentieri la prima parte, non mi andava di discutere di queste cose al momento, per soffermarmi sull'ultima.
"Quindi secondo te ho uno sguardo seducente? Bene che altro?", sapevo di esagerare, ma non ne potevo fare a meno, volevo capire, anche facendo il cretino, fino a che punto le piacevo.
"Tu... tu, sei solo uno sbruffone ecco cosa sei! Un egocentrico sbruffone!", mi gridò contro lanciandomi il cuscino per la seconda volta, senza che potessi evitarlo, in piena faccia.
Per fortuna ero ancora in piedi, cosi potevo avvicinarmi a lei per prenderle prontamente i polsi e avvicinarmi a un centimetro dal suo volto.
"Io sarei uno sbruffone eh? Si da il caso che questa persona" e mi indicai, "ti stia proteggendo da un maniaco pronto a violarti e ti assicuro che la cosa non ti piacerebbe per cui, sbruffone o no, mi devi un favore".
Probabilmente ero stato nuovamente eccessivo, per cui la guardai dritto nei suoi limpidi occhi azzurri che adesso sembravano guardarmi impauriti, sperando in una sua una pronta risposta che non arrivò. La vidi perdersi nei miei occhi ed io feci lo stesso, ma fu solo un momento perché, essendo stato troppo irruento, staccai la presa dai suoi polsi allontanandomi.
"Scusa, non volevo farti male", le dissi sincero.
Vidi il sguardo incupirsi e abbassarsi, trascinandosi i lunghi capelli biondi che le andarono a coprire il volto, nascondendolo.
Lei non rispose, quindi mi avvicinai di nuovo per accertarmi che fosse tutto apposto. Non avrei sopportato di vederla soffrire a causa mia. Le misi un dito sotto il mento per alzarle il capo, finché i nostri sguardi non si incastrarono di nuovo e notai delle lacrime in procinto di cadere.
Mi si spezzò il fiato.
"Ehi, tutto ok? Non volevo essere brusco, mi dispiace ", cercai di spiegare di nuovo.
I suoi occhi cercarono di sfuggire alla mia presa ma io ero più forte e la tenni ferma.
"Lasciami ti prego", mi sussurrò, quasi supplicandomi.
"Perché?", le chiesi.
Sapevo il motivo, ma volevo che fosse lei stessa ad ammetterlo, ma volevo anche che capisse che non avrebbe dovuto aver paura di me, che anche se la situazione era ambigua, e lo era molto, io non avrei mai osato farle nulla contro la sua volontà, forse solo un bacio o una carezza. Le lasciai il volto, così che potesse guardarmi negli occhi da sola, ma abbassò nuovamente lo sguardo.
"Perché cosa?", le chiesi.
Miriam sollevò lo sguardo fissandomi decisa. Finalmente.
"Perché ti comporti così?".
"Così come?", le chiesi perplesso.
"Così! Prima fai il gentile, poi lo stronzo e poi di nuovo gentile", si passò le dita tra i capelli, sembrava frustrata.
"Mi confondi, non ci capisco niente. Non ti capisco", mi fissò quasi supplicandomi con lo sguardo.
"Anche se, come dici tu, mi stai proteggendo, così io non ci riesco. Non riesco a fidarmi di te", e da come mi guardavano i suoi occhi, capii che dentro di sé ne aveva un disperato bisogno. Bisogno di fidarsi di qualcuno che non fossero le sue amiche.
"È colpa tua sai?", mi giustificai.
"Mia? Ma che cavolo dici?! ", mi urlò lei.
Sembrava non fare altro quella sera.
" Si tua. Perché se tu non fossi così dannatamente irascibile o così... così" , non potevo dirle quanto la trovavo sexy, non potevo ammettere quanto la sua sola presenza mi faceva andare in tilt il cervello.
"Così? ", mi chiese tranquillamente.
Non si rendeva conto di quanto io fossi in balia di lei in questo momento. Con quel suo sguardo mi ipnotizzava e mi eccitava ed io, che fino ad allora ero riuscito a controllarmi, rischiavo di perdere quell'equilibrio da un momento all'altro. Inconsapevolmente ingenua e provocante, mi dimenticai del motivo per cui eravamo qui, del perché stavamo discutendo, di tutte le mie buone intenzioni e mi concentrai solo su di lei. Le fissai quella morbida bocca carnosa e ad un tratto, eravamo solo noi. Non c'erano paranoie, non esistevano stalker, niente di niente. Solo noi due e questa forza invisibile che mi attirava al suo corpo, come affetto da chissà quale incantesimo.
"Mi hai stregato", ammisi mentre mi avvicinavo nuovamente di un passo.
"Cosa avrei fatto? Brandon, che stai dicendo? " , sembrava essere confusa e persa, proprio come me.
Meglio, così non rimuginerá troppo sulla cosa.
Mi avvicinai ancora, lentamente, mentre la vidi spingersi indietro più che poteva contro il muro, non capendo quanto questo mi facilitasse il compito, non potendo fuggire altrove. Era in gabbia.
La guardai intensamente, il desiderio sempre più forte ed anche se sapevo che le mie intenzioni non erano le più caste, al momento non mi importava, seguivo solo il mio istinto, come un cacciatore che puntava alla sua preda. La volevo e desideravo ardentemente baciarla.
Inclinai il capo accorciando le distanze già minime, sotto il suo sguardo vigile.
"Che stai facendo? ", mi chiese in un sussurro. Non le risposi perché pensavo che i fatti si spieghassero più di qualsiasi parola.
Sfiorai le mie labbra con le sue, delicatamente, era il nostro primo bacio. Vedendo che non reagiva, ne approfittai, era brutto da pensare, lo sapevo, ma era da troppo tempo che sognavo quelle labbra, morbide come la seta e avrei assaporato il momento, finché lei me lo avesse concesso. Ci riprovai e stavolta mi lasciai trasportare dal desiderio. Le accarezzai il volto, le spalle, le strinsi la nuca, la volevo ancora più vicina. Le sfiorai la vita per prenderla per i fianchi, ribaltando le posizioni e portandola a cavalcioni su di me, mentre intensifavo il bacio. Quei pantaloncini erano davvero stupendi e il tessuto a contatto tra la nostra pelle era praticamente inesistente. Le solleticai la lingua che lei piano, unì alla mia in una danza perversa di sospiri e gemiti.
Dovevo fermarmi o sarebbe stato troppo tardi.
Mi staccai malvolentieri, ansimante, poggiando la fronte sulla sua per riprendere fiato. Miriam aveva ancora gli occhi chiusi ed il fiatone, era bellissima. Le accarezzai i capelli, inebriandomi i sensi.
Era stato un bacio intenso, carico di passione e desideri nascosti che mi aveva fatto capire quanto anche lei fosse in balia di sentimenti contrastanti, proprio come i miei. Quando riaprì gli occhi, sembrava confusa poi, come destandosi da un sogno, si allontanò,scendendo dal letto, spaventata.
"Cosa abbiamo fatto? ", mi domandò toccandosi le labbra, come se fosse successo qualcosa di irrimediabile, ed effettivamente lo era, perché tutto ciò precludeva come la peste una nostra possibile amicizia.
Proprio quello che volevo in realtà.
Come potevo anche solo pensare di esserle amico, quando ogni cosa di lei mi attraeva?
Solo uno stupido potrebbe. Avevo passato tutta la vita a cercare in ogni rapporto l'adrenalina che solo ora, grazie a Miriam, riuscivo a provare.
Adesso volevo solo assaporare ogni istante con lei, ogni brivido, ogni litigio ancora e ancora.
Con Miriam ogni battibecco diventava per me un incipit, un bellissimo scontro, non solo di pensiero, ma anche una piccola faida 'a chi cede per primo', una tensione costante che c'era tra noi, ogni qualvolta eravamo vicini, ed io avevo tutta l'intenzione di assistere al crollo definitivo di tutte le sue barriere per godermi la vittoria. Lei.
Mi alzai anch'io, ma appena provai ad avvicinarmi, Miriam fece un passo indietro.
"Non ti avvicinare. Perché l'hai fatto!?", mi chiese stupita.
Come potevo non capirla? Che stupido ero stato. Avevo appena rischiato di farle rivivere l'esperienza che aveva avuto con quello stronzo, solo per assecondare il mio egoistico bisogno di lei. Ma non avevo resistito, non potevo.
"Perché neanch'io ci riesco. Non ce la faccio più a fingere di poterti stare accanto solo come amico. Non mi basta più", e mentre dissi queste parole, trattenute per troppo tempo, mi avvicinai di un passo e lei, ancora incredula, che rimase immobile.
"Io voglio di più Miriam. Anche se siamo praticamente degli sconosciuti, anche se il nostro rapporto non é idilliaco, anche se litighiamo spesso, con te sento un'adrenalina dentro che non ho mai provato. Voglio andare fino in fondo e vedere dove mi porta tutto questo. E tu?", le dissi tutto d'un fiato ormai a un passo da lei.
Allungai una mano per prenderle una ciocca di capelli che attorcigliai e portai al naso. Avevano un profumo buonissimo, forse alla pesca.
Lei abbassò il viso e si allontanò, troncando il contatto tra di noi.
"Io non lo so. Te l'ho detto, se fai così, non so come muovermi, cosa fare, se fidarmi oppure no. Sei enigmatico, troppo, ed io non so che fare, soprattutto se fai così".
Cercai di catturare il suo sguardo, ma continuava a fuggire.
" Guardami", le chiesi, troppo bisognoso di sapere cosa celavano i suoi occhi.
"Per favore", continuai, non vedendo nessuna reazione.
Lei con una lentezza sovrumana e contro voglia alzò nuovamente il volto, esausta probabilmente di tutte queste emozioni. Troppe per una sola giornata e troppo nuove persino per me.
"Non nasconderti dietro le tue barriere, voglio essere io a proteggerti. Sarò io il muro su cui ti sorreggerai e ti proteggerai. Non sono perfetto, ne sono consapevole, ma posso provarci. Possiamo farlo insieme".








Non lasciarmi, resta al mio fiancoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora