Non c'era sole quella mattina, e sapeva già che non ci sarebbe stato per altri giorni. D'altronde abitare in Alaska ha i suoi lati negativi, nebbia costante, freddo costante e paesini sperduti nella neve. Ma abitare in Alaska aveva anche i suoi pregi, le vaste foreste che sembravano infinite e il senso di solitudine che ti attanaglia il cuore erano quelli principali. Se n'era accorto mentre guidava tranquillo verso la sua meta, passando case distanti kilometri l'una dall'altra.
Gerard stava scappando.
Scappava da una vita falsa con gente falsa, scappava dai loro sorrisi falsi e dai loro sguardi giudici.
Meno di ventiquattro ore prima aveva annunciato alla sua famiglia la grande notizia.
Era gay.
Non aveva avuto ragazzi (nemmeno ragazze), non aveva avuto nemmeno amici che si potessero definire tali; l'unica vera persona che l'aveva sostenuto durante il suo coming out era suo fratello Michael.
Si ricorda ancora la mano del fratello che stringeva forte la sua mentre scandiva ad alta voce quelle due parole.
Sette lettere dopo, sua madre l'aveva letteralmente cacciato di casa. Ma Gerard lo sapeva, aveva pianificato tutto e nel pomeriggio aveva già preparato la valigia, chiamato sua nonna Helena e fatto benzina alla macchina. Con o senza minacce se ne sarebbe andato comunque da quella casa, era solo questione di tempo. Mikey era l'unica cosa che lo legava a quella casa, che lo lega attualmente alla sua vita.
Il cartello che lo invitava a entrare nella città di Seaward rappresentava una vera e propria rinascita, un posto in cui ricominciare da zero la propria vita e riflettere su quella passata.
Era appena arrivato in Jefferson Street, una lunga stradina imbiancata dalla neve che si stendeva per qualche miglia.
La casa di Helena era come se la ricordava, piccola, accerchiata dalla foresta e distante kilometri dalle altre case. La nonna era fuori ad aspettarlo, avvolta in una spessa mantella di lana. Scese dall'auto con qualche difficoltà, dopotutto il viaggio era stato lungo, e si avvicinò all'anziana signora per abbracciarla.
"Gerard" lo chiamò accogliendolo nel suo abbraccio caldo.
"Ciao nonna" rispose tremante. Sapeva che non era il freddo a fargli quest'effetto. Era passato tanto tempo dall'ultima volta che ricevette un abbraccio. Certo c'era Mikey, ma lui aveva bisogno di un abbraccio da qualcuno che capisse cosa stava passando, che lo confortasse la notte mentre versava lacrime sul cuscino chiedendosi cosa ci fosse di sbagliato in lui. Che gli dicesse che la sua vita era un dono, che non doveva sprecarla così. Aveva bisogno di una figura materna. Una madre ce l'aveva, ma non era degna di essere chiamata tale. L'unica persona che si avvicinava di più alla sua idea di madre era proprio lei, Helena. Lei lo capiva da quando era piccolo e diceva di voler diventare un pittore, lo capiva quando le raccontava delle cotte che si prendeva per i suoi compagni di classe.
"Vieni entra, ti prenderai un raffreddore se stai ancora lì" gli disse con voce gentile. Lo prese per mano e si fece guidare dentro la casa. All'interno faceva caldo, il camino era acceso e un dolce tepore gli scaldò le dita infreddolite. Sul tavolo della cucina c'erano due tazze di tè ancora fumanti e un piatto di biscotti fatti in casa.
Per la prima volta, dopo tanto tempo, Gerard Arthur Way si sentiva davvero a casa.