Cap. 9

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Mi perderei in questo bacio per l'eternità, ma non posso. Non posso stare appesa ad una speranza flebile. Con tutta me stessa gli poggio le mani sul petto e lo spingo via. "Che cosa vuoi da me Ric?", ho il fiato corto, la voce smorzata dalla rabbia. Mi corre incontro, prende il mio viso tra le sue mani con forza. "Voglio te". Quelle parole mi ronzano in testa per un arco di tempo indecifrabile, poi mi faccio coraggio, mi allontano da lui. Mi sento forte e carica a sputargli tutto in faccia. "Vuoi me? Come puoi volermi se di me non sai nulla? Dici che mi vuoi, dove hai le palle allora? Perchè Barbara è ancora al tuo fianco?". Non sono riuscita a trattenere le lacrime. Scendono a dirotto sul mio volto, mi rigano le guance. Gli leggo la rabbia negli occhi. Stringe un pugno. Nel giro di un secondo scaglia il vaso che si trova di fianco a terra. E' in mille pezzi. Come il mio cuore. Lancia un urlo e a lunghe falcate si dirigge verso di me. Sono troppo spaventata per stargli vicina in questo momento. La prima cosa che mi viene in mente di fare è scappare in camera mia. Corro. Sbatto la porta, chiudo a chiave e mi ci poggio con la schiena. Oramai sono a terra, piango a dirotto. Sono distrutta. Sento i suoi passi lungo il corridoio, i suoi pugni sulla porta, le sue urla che mi dicono di aprire. Poi la calma, il silenzio più totale.

Non so quanto tempo sia passato, mi sono calmata, non sento nessun rumore dall'altra parte. Sto per aprire la porta, quando la sua voce rompe il silenzio.

"Dopo la morte di Evan, sono andato via di casa e con me ho portato Dros. Non sapevo dove abitare, non avevo un lavoro. Una sera, sono entrato in un locale e ho notato dei signori vestiti bene che mi sfottevano, dormivo nel parco da una settimana, ne avevano tutte le ragioni. Avevo ventisette anni, ero più in forze di loro. Ho lasciato Dros fermo al centro della sala, mi sono diretto da uno di loro e gli ho tirato un pugno. Poi un altro e un altro ancora. Uno di loro mi ha fermato, dicendomi di calmarmi e scusandosi per la maleducazione del suo amico. Era Arthur Weber. Quella sera mia ha portato a casa sua. Mi ha concesso una doccia e mi ha ospitato nella dependance a bordo piscina. Erano passate due settimane, ma non mi aveva cacciato da casa sua. Ho iniziato a sistemargli il giardino, ogni tanto l'auto. Cercavo di ringraziarlo in qualche modo della sua ospitalità. Una sera mi ritrovai Barbara tra le lenzuola. Non mi andava di liberarmene, neanche di starci assieme. E' così che mi sono legato a lei. Non per amore, ma per riconoscenza. Lei si era innamorata e il padre era più che felice di vederla al mio fianco. Bum, il nostro sarebbe potuto essere il matrimonio del secolo. Arthur ha aperto un conto a mio nome, ma non volevo accettare i suoi soldi, allora mi ha trovato un modo per guadagnarmeli. Gestisco il Silver, il miglior locale del circondario. E' intestato a mio nome, capisci? Mi ha accolto nella sua casa, non come i miei genitori. Ricordo ancora le loro parole quando me ne andai di casa: E' morto il figlio sbagliato"

Ho un nodo in gola e non riesco a mandarlo giù. Apro la porta. Mi inginocchio di fronte a lui, gli prendo il volto tra le mani e lo bacio. Questa volta è un bacio lento, delicato. Ci prendiamo tutto il tempo che ci serve. "Scusa". E' l'unica cosa che riesco a dire. Lui mi porta una ciocca dietro l'orecchio, si alza e mi prende in braccio, mi aggrappo al suo collo e mi lascio accompagnare sul mio letto. "Farei l'amore con te Rab, ma hai ragione, non so niente di te. Meglio che vada". Mi porge un bacio a fior di labbra. "...ti chiamo domani".

E' mezzogiorno, tra un'ora devo andare a lavoro. Mi sento distrutta. Ric non mi ha richiamata. Mi alzo e mi infilo sotto la doccia, dopodiché asciugo i capelli, faccio una treccia e mi trucco. Indosso un paio di pantaloncini da basket e un top con la pancia scoperta. Scendo le scale di corsa, mi preparo un toast, che mangerò per strada e col borsone sulla spalla mi diriggo a lavoro. Riesco ad essere puntuale e a sistemarmi dopo la corsa che ho fatto che poter arrivare in orario. Una volta entrata nella saletta di fit-box, mi scaldo un po' tirando qualche calcio e qualche pugno. Dopo un quarto d'ora iniziano ad arrivare i ragazzi. "Ehi Rab, giuro che non ti farò mai incazzare, non vorrei essere al posto di quel sacco". E' Josh, bello, solare, sorridente. Accanto a lui c'è Ric. "Ciao, ragazzi, oggi voglio proprio vedere come fate a pugni" e li sfido sorridendo "...contro di me". Sono entrambi scioccati. Oggi la coppietta non si è presentata, mentre Barbara e la sorella di Josh seguiranno una lezione di Zumba. Mi avvicino al ring e invito Josh a salire, una volta salito, vado anche io. Ci mettiamo i guantoni e le protezioni e ci posizioniamo. "Bene Josh, voglio che riversi la tua rabbia nei tuoi guantoni. Ma attenzione, voglio controllo! Devi essere sempre consapevole di ogni mossa. Ok?". Sta sorridendo. "Ok Rocky". Non sono un'istruttrice di boxe, però nello sport ci vuole controllo e consapevolezza del proprio corpo e del controllo, io riesco a tirarlo fuori facendo a pugni. E' un mio metodo. Josh è molto bravo a mantenere il controllo di sè e dei pugni che mi scaglia contro. E' pulito, corretto, ordinato. Alla fine del round mi abbraccia e mi stringe forte. Guardo Ric, ribolle di gelosia. "Forza Eric Black, tocca a te".

Con Ric è totalmente diverso. Sta riversando tutta la sua rabbia nei guantoni, senza controllo, senza consapevolezza. Ha bisogno di buttar via tutto ciò che lo distrugge dentro. E' difficile far fronte alla sua forza, ma voglio aiutarlo. Come ha fatto Max con me. A metà Josh round ci informa che deve andar via. Io e Ric continuiamo. E' irruento, impetuoso, forte,rabbioso. Alla fine del round, mi levo la protezione a mi rendo conto che mi esce sangue dal naso. 

Ric mi guarda, butta i guantoni a terra, fa un ringhio e si volta per andarsene. Lo prendo per mano, lo trattengo. "Ric, aspetta".


Negli occhi,nell'animaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora