La Bestia e il Dono (pt.1)

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La bestia dormiva dentro di me, e ora forse capisco perché ero sempre stanco, tenerla a bada doveva costarmi uno sforzo immane!

Fino a questo momento la mia vita fu come tutte le altre, cioè diversa, ma non degna di nota.

Ero ancora umano, ero ancora animale ed ero ancora semplice, anche se nutro il sospetto di esserlo stato sempre un po' meno degl'altri, poiché la bestia, anche se dormiva, forse sognando, influiva in qualche modo nel mio pensiero rendendolo spesso ridicolo agl'occhi altrui.

Quel giorno la tossina contenuta nella mia sigaretta un po' speciale aveva agito come tutte le altre volte, le mie gambe, così come il resto del corpo, erano leggere come piume e muovermi m'era più comodo, anche se i miei movimenti erano goffi e impacciati come quelli d'un obeso che ha fatto indigestione, e proprio come un goloso m'avviavo verso un bar da me spesso frequentato, per placare una fame che non era provocata dal normale ciclo vitale poiché avevo pranzato da poche ore; camminavo in un vialetto abbastanza piacevole agl'occhi nonostante si trovasse nella città più grigia del mondo (così chiamo la "mia" città), dove i palazzetti erano spesso accompagnati da giardini o mal che vada da qualche aiuola.

Scendevo per la via accompagnato da una brezza che ricordo piacevole, i colori vividi, un'euforia generale e condivisa tra amici condiva il tutto.

Senza dubbio aveva fatto effetto, l'avevo fumata giusto per arrivare a quello, ed ero soddisfatto poiché per poterne godere non avevo neppure dovuto sborsare un centesimo, ero infatti a ridosso del mio sedicesimo compleanno, quindi ai miei conoscenti non dispiaceva di offrirmi qualche cosa, e a me non dispiaceva di farmi offrire.

Arrivato al bar, che si trovava in un bellissimo viale che collega il centro del quartiere al mare, la mia euforia scomparve del tutto e per un attimo fui davvero vuoto, poi ricomparve, ma sotto forma di panico, i colori non erano più vividi ma grigi e neri come la città o anzi peggio, il mio corpo sembrava si fosse ribellato a me ed eseguiva i miei ordini solo se gli andava, ma sempre in ritardo, e i miei occhi vedevano tutto allontanarsi da me, i miei amici, i tavoli, le sedie, perdevano consistenza e rappresentavano quasi una minaccia.

I miei amici pensarono stessi esagerando nella descrizione di ciò che sentivo e m'invitarono a fare un giro da solo per schiarirmi le idee, non mi credevano e anzi non sono sicuro che mi credano nemmeno adesso, ma non ha importanza.

Corsi nel bagno del bar intento a sciacquarmi la faccia, avevo bisogno di riacquistare il contatto con il mio corpo che tremava di paura, perché era evidente che fosse a conoscenza del fatto che si muoveva per volere non mio ma di terzi.

Mi sentii telecomandato.

Niente da fare, non appena le ultime gocce s'asciugavano sul mio viso, io ritornavo succube di non so cosa che mi comandava come fossi un burattino, impiegavo un'enorme quantità di energie per sottrarmi al burattinaio che, purtroppo, sempre trionfava; l'avrei picchiato avessi potuto ma c'era un problema: lui soggiornava nella mia testa.

Desiderai di morire.




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