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Febbraio.

A volte mi chiedo perché ho accettato questo lavoro.

In fondo sono una seria professionista, un'infermiera competente e preparata, ho anni di esperienza sul campo e nell'organizzazione, potevo scegliere di lavorare in ospedale, in clinica, mi avevano addirittura offerto di gestire in toto l'assistenza di un centro diurno per disabili, e invece quando un amico mi ha chiesto quasi per scherzo se poteva interessarmi di partire per un lungo tour con un gruppo rock, non leggendario ma decisamente famoso, non ci ho pensato sopra più di cinque minuti prima di accettare.

Perché? Non lo so. Forse per noia. Forse perché l'anima ribelle dei miei trent'anni non era ancora pronta alla vita che mi ero scelta: una vita fatta di orari di reparto e riunioni formali, di ricerca, articoli e conferenze; una vita professionale piena e interessante, ma forse non fino in fondo quella che avrei voluto... Non ancora, almeno.

O forse il fatto che dopo un anno da single avessi voglia di sperimentare anche il bello di non avere vincoli e legami, di non avere una relazione stabile, o dei figli... Forse sì... Forse è stato per regalarmi ancora un po' di tempo.

E così adesso eccomi qui: in servizio 24 ore al giorno, stravolgimento completo dei normali ritmi di vita, mesi e mesi in giro senza mai fermarsi in un posto abbastanza a lungo da poter vedere qualcosa se non strade, strade e locali... il tutto con perfetti sconosciuti, vabbè, almeno all'inizio lo erano.

Ma non è che sia stato meglio fare la loro conoscenza, dopo tutto.

Mi ritrovo ormai spenta, priva di stimoli, abbrutita... sarà perché ormai, a parte poche settimane di pausa qua e là, è quasi un anno che faccio questa vita... ma il mio contratto è lontano dallo scadere e cascasse il mondo io devo sempre portare a termine i miei impegni.

Dannato orgoglio.

No, non posso mollare, mi consolo pensando che prima o poi finirà, che non può durare in eterno come un supplizio infernale, che devo affrontare tutto questo giorno per giorno, momento per momento, perché se comincio a guardare in prospettiva finirò per deprimermi.

E anche perché, se dobbiamo essere sinceri, sono stata io a complicare in modo così terribile le cose... come una dannata principiante.

E anche piuttosto ingenua.

Che diavolo pensavo? Dove ho vissuto per ben 31 anni prima di accettare questo dannato lavoro? In un film?

Perché davvero mi ero dipinta tutto di rosa come un adolescente, e invece tutto qui è squallido e crudo esattamente come nel resto del mondo.

E forse allora davvero non c'è più speranza per il genere umano.

Quanto odio questi momenti di sconforto in cui tutto sembra chiaro... Deprimente e chiaro. E poi magari domani mi sveglierò cantando e mi sentirò ipocrita ancora una volta.

Dopo tutto la solitudine non è così male in questa situazione, almeno queste seghe mentali non le condivido con nessuno, e nessuno quindi può notare le mie innate incongruenze.

Il tourbus scivola via veloce e tutti stanno ancora dormendo. Buck, il più simpatico dei due autisti, è l'unico sveglio e onestamente dovrei andare a fargli compagnia, ma almeno lui ha imparato presto i miei ritmi e sa che quando mi sveglio ho bisogno di caffè e almeno dieci minuti di assoluta tranquillità per uscire dalla modalità "orso scorbutico".

Per fortuna stasera si dorme in un vero letto, all'interno di una vera camera tutta per me... al pensiero della vasca da bagno quasi mi commuovo...

Ma chi sto cercando di prendere in giro?

In realtà è al pensiero di non avere davanti agli occhi Ethan per qualche ora che quasi piango di gioia!

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