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Dopo quella prima notte è iniziata una sorta di lotta senza esclusione di colpi, la sua bravura nel riuscire a nascondere le cose agli altri è probabilmente inarrivabile, ma decisamente anch'io me la sto cavando bene, tanto che nonostante siano passati mesi e mesi nessuno, neanche le persone con le quali viviamo ogni giorno nel più stretto contatto, sospetta qualcosa.

Agli occhi altrui probabilmente io e Ethan sembriamo semplici conoscenti, due persone che collaborano cordialmente ma che non hanno niente in comune.

Devo dire che questo mi stimola, perché in una situazione così qualunque minimo gesto di ogni giorno acquista un chiaro connotato provocatorio: ogni sguardo casuale, ogni parola rivolta all'altro, il semplice chinarmi per prendere qualcosa dal tavolo mentre lui è lì, o anche il fatto di essere seduti vicini o al contrario lontanissimi e magari di spalle, hanno significati precisi nel nostro comune linguaggio, vocabolario costituitosi naturalmente giorno per giorno nel nostro apparente silenzio, così come le regole che definiscono il nostro gioco, chiarite magicamente senza aver avuto bisogno di enunciarle. Dall'esterno sembriamo due persone ormai talmente abituate alla reciproca presenza da non porre su di essa il minimo caso ed invece siamo costantemente in comunicazione l'una con l'altro.

Nel bene e nel male.

Perché non ci piace solo stuzzicarci, abbiamo scoperto ben presto quanto sublime piacere ci sia nel ferirci: così l'accettare un invito fuori con la crew una sera in cui sono certa che ha progettato di venire da me mi da un sottile piacere, lo stesso piacere che da a lui a volte il non aprirmi la porta per poi farmi trovare al mattino un messaggio che dice: "ti serviva qualcosa?".

Rabbia e tensione che a volte si accumulano giorno dopo giorno per poi esplodere all'improvviso.

Come quella volta sul tour bus.

Avevamo giocato a rimpiattino per più di una settimana, non so dire se più per sadismo o masochismo.

Io me ne stavo seduta da sola a scrivere al tavolo del tourbus deserto e parcheggiato fuori dal locale quando lui è entrato, indossando un improbabile e vistoso completo di seta candida Dolce & Gabbana che sembrava brillare di luce propria nella penombra appena rischiarata dalla mia fioca lampadina da tavolo.

Ho alzato gli occhi dai miei fogli e l'ho squadrato per un attimo

« Ethan di bianco vestito » Ho commentato ironicamente « non passi certo inosservato...»

«Depistaggio, mia cara, depistaggio. Infatti sono venuto a cambiarmi.»

« Bene, allora cambiati. » Ho concluso indifferente tornando a scrivere.

Lui si è messo in piedi davanti a me, senza staccarmi gli occhi di dosso, e ha cominciato lentamente ad allentarsi la cravatta.

Mio malgrado l'ho sempre trovato terribilmente eccitante in quasi tutto quello che fa: il modo in cui mi guarda, il modo in cui riesce a modulare la voce in quel suo modo di parlare lento e dalla dizione perfetta... e soprattutto il modo in cui si muove, decisamente Ethan non ha delle belle mani, ma il modo in cui riesce ad usarle è ipnotico.

Ho alzato lo sguardo dal quaderno che ormai aveva perso ogni attrattiva ai miei occhi e mi sono accomodata meglio sul divanetto per godermi lo spettacolo.

La cravatta è scivolata via con un elegante fruscio, e la giacca ben presto l'ha raggiunta, sono restata assolutamente immobile a godermi il viaggio di ogni singolo bottone fatto uscire dall'asola con infinita, studiata lentezza.

Quando le sue dita sono scese sapienti sfiorando la pelle verso la cintura, slacciandola, la mia eccitazione era ormai pericolosamente vicina ad essere fuori controllo. Allora si è fermato, si è chinato verso di me e ha spento la lampada da tavolo.

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