CAPITOLO 14

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-Ben arrivato.-
Raxor si bloccò dov'era, attonito, cercando di scrutare nel buito della caverna che si stava lentamente schiarendo grazie alla luce delle numerose candele che si accesero in successione. Non poteva credere alle proprie orecchie. Era meglio pensare che fosse un'altra illusione piuttosto che ritrovarsi faccia a faccia con un passato che aveva cercato in ogni modo di cancellare dalla sua mente.
In un solo istante si rivide piccolo e indifeso, ancora ignaro di tutte sofferenze e le ingiustizie del mondo in cui si trovava. Viveva ancora con sua madre in una casetta in pietra modesta ma accogliente della quale adorava in particolare il focolare che d'inverno scoppiettava allegramente. Le fiamme lo ammaliavano con i loro movimenti sinuosi e al contempo distruttivi, una meravigliosa danza che trasformava il legno in cenere e calore.
Era il periodo in cui il padre veniva ancora a trovarli, seppur raramente e per breve tempo. Sembrava quasi che avesse paura di farsi trovare con loro dal modo guardingo con cui sgusciava in casa verso sera. A Raxor non andava molto a genio per la durezza della sua voce: mai un complimento, mai una domanda su come stesse. Inizialmente aveva cercato di protestare per quell'indifferenza ingiustificata nei suoi confronti, ma sua madre lo aveva immediatamente ripreso dicendogli che gli doveva rispetto perchè era una persona importante.
Non aveva ancora ben chiaro cosa significasse quel termine riferito alle persone, e nella sua mente di bambino l'aveva immediatamente collegato ai soldi. Perchè suo padre di soldi ne aveva, quello era certo. Lo si capiva dagli abiti costosi che indossava, tessuti ricamati d'oro di colori che non si vedevano quasi mai. Una volta ogni due settimane portava con sè un sacchetto di monete che sua madre nascondeva con molta cura. Quando accadeva lei era felice, perciò nonostante suo padre non gli piacesse gli era grato perchè in qualche modo la rendeva più spensierata, dacendo in modo che almeno per qualche giorno potesse riposarsi ed evitare di lavorare. Era sempre stata di salute cagionevole, ma Raxor era consapevole che stava lentamente peggiorando.
Era sempre più debole, e il suo corpo era diventato così sensibile da riempirsi di lividi al minimo tocco. Poi, da un giorno all'altro era cambiato tutto. La città era stata addobbata a festa con stendardi colorati, i giullari si esibivano insieme a musicisti nelle piazze rallegrando i passanti. Le donne parlottavano tra loro eccitate, mentre gli uomini discutevano di politica.
"Una principessa venuta da lontano" dicevano le voci. "Pare che il re se ne sia innamorato follemente e la voglia sposare!"
Suo padre aveva smesso improvvisamente di andare a trovarli, e Raxor e sua madre erano presto caduti nella miseria. Il bambino aveva cercato di aiutarla il più possibile, ma pareva che oltre ad essere ammalata fisicamente un diavolo le avesse strappato ogni segno di felicità dal corpo.

-Forza, vieni più vicino.-
Quella voce. Quella stessa voce che tanti anni prima lo aveva chiamato "piccolo bastardo" quando lui non sapeva ancora cosa significasse, quella stessa voce appartenente alla persona che dopo aver schiaffeggiato sua madre davanti a tutti l'aveva definita una lurida sgualdrina. La colpevole del loro esilio dal regno, della loro fuga disperata alla ricerca di un nuovo luogo da chiamare casa dove nessuno li avrebbe additati condannandoli per ciò che erano.
Fino a quell'istante Raxor aveva creduto che la malattia incurabile che aveva ucciso sua madre dopo un lungo periodo di terribili sofferenze fosse stata causata dal fato, o magari fosse una punizione divina per qualcosa che aveva fatto.
Tuttavia, mentre avanzava passo dopo passo all'interno dei meandri della caverna comprese molte cose che lo sconvolsero e al tempo stesso lo spinsero ancora di più a portare a termine il compito che si era prefissato. Gli sembrava di essere in un vero e proprio labirinto pieno di bivi, vicoli ciechi e trappole, eppure per qualche motivo sapeva esattamente dove andare. Percepiva la sua presenza. Era quasi una trasposizione nella realtà della sua mente: un guazzabuglio di ricordi e sentimenti che formavano un'accozzaglia inestricabile dove però c'era un pensiero in particolare che spiccava tra gli altri.
Dopo un lasso di tempo che gli parve contemporaneamente brevissimo e dilatato all'infinito giunse nel cuore della grotta, il luogo in cui tutto avrebbe avuto fine sia nel bene che nel male. Passato e presente si sarebbero presto riuniti di nuovo per determinare il futuro. Non solo il suo, ma quello dell'intero regno.
Raxor la sentì ancora prima di vederla: erano passati più di vent'anni, ma il suo aspetto era rimasto lo stesso così come l'aura di malvagità che da piccolo lo aveva così terrorizzato. Lei sollevò con grazia il capo scostandosi i lunghi capelli biondi dal viso con la mano dalla pelle diafana. L'ampia e lunga manica dell'abito merlettato di un viola scuro scivolò rivelando un braccio quasi scheletrico. Alzò lo sguardo su di lui, scrutandolo con quegli occhi così chiari da sembrare quasi bianchi mentre le sue labbra scarlatte si sollevavano in un sorriso sadico. Chiunque altro sarebbe rimasto ammaliato da quella creatura che sembrava quasi un angelo disceso dal cielo. Tutti, ma non lui.
-Cerith.- La voce di Raxor trasudava un disprezzo tale che avrebbe intimorito persino il soldato più valoroso. Lei non fece una piega, ma anzi sul suo viso dai lineamenti delicati comparve un'espressione che pareva esprimere persino soddisfazione.
-Vedo con piacere che ti ricordi di me, non credevo avessi una memoria così a lungo termine.- gli rispose la giovane donna, alzandosi elegantemente dal masso su cui era seduta e avvicinandosi con un passo degno di una ballerina.
Raxor strinse d'istinto l'elsa della spada con entrambe le mani, talmente forte da farsi quasi male. Se anche la ragazza notò la sua reazione non lo diede a vedere, scrutandolo con la curiosità di chi rivede un amico dopo tanto tempo e fa fatica a riconoscerlo. La sua voce cristallina risuonò per tutta la grotta increspando lievemente l'acqua del piccolo laghetto alle sue spalle.
-Immagino tu sia piuttosto lieto del fatto che il sogno di tutta la tua vita si sia finalmente avverato. Mantor è morto proprio come hai sempre voluto.- Fece una breve risata, la quale nonostante fosse uno dei suoni più gradevoli che un uomo potesse mai udire lo fece infiammare d'odio.
Il passato si stava rincongiungendo al presente per il gran finale. Era sempre stata lei fin dall'inizio. Lei aveva ammaliato suo padre convincendolo ad esiliarlo insieme a sua madre. Lei aveva fatto ammalare sua madre di una malattia incurabile. Lei, sotto mentite spoglie, si era presentata come un mago davanti a Mantor pochi giorni prima del torneo mentre lui credeva di averla lasciata al sicuro al castello.
Un unico burattinaio che aveva tirato da sempre le fila di tutto con un unico obbiettivo: ottenere sufficiente potere e denaro per sottomettere entrambi i regni.
Cerith inclinò leggermente il capo portando l'indice della mano destra sul labbro inferiore, fingendo curiosità. -Dimmi Raxor, cosa si prova ad assistere all'impiccagione del proprio padre dopo averlo torturato di persona?-

The revenge of the mercenaryDove le storie prendono vita. Scoprilo ora