Non ero stata di certo così ingenua da farmi lasciare vicino ad un luogo che avrebbe potuto far intendere dove volessi andare. Chiesi all'autista di accostare ad una fermata dell'autobus, ben lontana dal Regno. Per quanto ci fosse una vera e propria città che si sviluppava intorno al Palazzo, dove i Demoni meno nobili vivevano, avevo preferito tagliare tutti i ponti.
Scesi, cercando di orientami nella mia vecchia cittadina. Mi ricordai dell'esistenza di un motel, e sperai che non avesse chiuso in meno di un anno. Aspettai che l'auto ripartisse, per evitare di essere seguita, e mi incamminai verso l'edificio che pareva cadere a pezzi. Per fortuna era ancora in gestione.
Aprii la borsa, cercando i soldi che avevo preso prima di partire – ma non la carta di credito, sarebbe stata rintracciabile – e mi recai alla reception. Presi una stanza per una settimana, sperando di riuscire a trovare un lavoro per quel periodo e quindi un alloggio migliore. Venti dollari a notte non erano davvero nulla, considerato quanto avessi tra le mani, ma meno spendevo più potevo campare di rendita. Ovviamente usai il mio vecchio nome, accantonando il "Blackeye". Non fecero poi tante domande, visto che avevo abbastanza per pagarli.
Afferrai le chiavi e mi diressi alla mia stanza, la 58. Dubitavo il motel avesse così tante stanze, ma non mi feci troppi problemi. La camera da letto era piuttosto pulita, nonostante fosse un caos di disordine. Il bagno era piccolo, ma dopotutto fungeva al suo scopo. Poggiai la sacca per terra e mi sdraiai al letto, affondando la faccia nel cuscino.
Stupida, stupida, stupida!
Probabilmente piansi senza ritegno, ma non mi importava. In un moto di puro masochismo, mi chiesi cosa avrebbe detto mio padre, vedendomi così. Mi avrebbe sorriso, fatto una carezza, e detto che non c'era nessuno che meritava di farmi soffrire.
Asciugai le lacrime e rivoltai il cuscino, per evitare di vedere la federa bagnata. Feci un profondo respiro e mi andai a sciacquare la faccia. Era quasi sera, perciò avrei dormito e poi sarei andata a cercare un lavoro.
La mattina era grigia, sia per il mio umore che per il cielo che minacciava pioggia. Mi vestii nel modo più semplice che potei, dato il piccolo guardaroba elegante, e mi diedi una sistemata davanti allo specchio. Presi le chiavi della stanza e qualche soldo, per poi lasciare la sacca in camera. Sarei andata a cercare qualche impiego, non volevo giacere sugli allori ed un lavoro mi avrebbe sicuramente tenuto la mente impegnata.
Girai un po' per la città, ma non trovai nulla. Per pranzo decisi di fermarmi ad un fast-food, ma presi due panini da portar via. Mi ero dimenticata quanto la città potesse essere caotica, chiusa nella gabbia del castello. Avevo il mal di testa per tutti quei clacson e voci di gente che parlottava al telefono, quindi volevo tornarmene in camera, nel silenzio che solo la solitudine può donare.
Pagai, afferrai il sacchetto che mi veniva porto e mi incamminai verso il motel. Aprii la porta con slancio, stavo morendo di fame, visto che avevo saltato la colazione. Mangiai con voracità, e mi macchiai i pantaloncini di salsa. Li tolsi ed andai nel piccolo lavandino del bagno per pulirli, restando in mutandine.
Qualcuno bussò alla porta, ma non ci badai: ero mezza nuda e non avevo intenzione di aprire ad eventuali venditori porta a porta. Nessuno mi avrebbe cercata, e tanto bastava. Magari qualche servo avrebbe avanzato una richiesta, ma con me fuori dai piedi si sarebbe respirata aria nuova. E a me andava bene.
La macchia era rimasta, perciò sbuffando mi misi in fretta una gonna ed uscii a comprare uno smacchiante prima che il tessuto si asciugasse. Il supermercato era piuttosto lontano, ma non avevo intenzione di spendere troppi soldi nel taxi. Entrai come una furia e presi quello che mi serviva, oltre che ad uno spazzolino ed un dentifricio. Sbuffai quando mi accorsi che la cassa dei massimo-dieci-pezzi era chiusa.
Ci misi almeno venti minuti a fare la fila, e quasi mi misi a correre per tornare al motel. Non era tanto l'urgenza di rovinare i pantaloni, quanto quel continuo chiasso assordante per le strade. Ed io ci avevo vissuto per tutta la vita?
Sospirai di sollievo quando mi richiusi la porta alle spalle. Mi sarei dovuta abituare a quel ritmo frenetico, o ne sarei uscita pazza. Buttai una generosa quantità di smacchiatore sui pantaloncini, cominciando a sfregarli. Per un attimo sentii la mancanza del chiacchiericcio dei servi della lavanderia. Strinsi i denti, impedendomi di ricordare. Niente ripensamenti, Victoria, giusto?
Il pomeriggio ero troppo abbattuta per cercare un altro lavoro, perciò decisi di dirigermi alla biblioteca, quando mi ricordai che non avevo più la tessera ed in quanto minorenne non ne avrei potuta richiedere un'altra da sola. Con stizza rivolsi le mie attenzioni alla libreria, sperando di trovare un tomo enorme scontato. Mentre vagavo tra le file di scaffali pieni, un libro verde attirò la mia attenzione della sezione Narrativa Storica. Il ricordo del nostro secondo incontro tornò ad essere vivo, come se fosse stato solo ieri. Il suo sorriso strafottente mentre prendeva il libro dal ripiano troppo alto per me, mi ringraziava con poca velata ironia e si dirigeva a prenderlo in prestito.
Chiusi gli occhi per un attimo, cercando la forza per voltarmi e cambiare sezione, ma alla fine fu più disintossicante uscire. L'aria fuori era davvero fredda, e mi colpì le guance accaldate dal riscaldamento del negozio. Sbuffai, ed una nuvoletta calda si creò davanti a me, lentamente svanendo, evanescente.
Mi appuntai mentalmente di fare una spesa decente, il giorno successivo. Non potevo andare avanti a panini di dubbia salubrità, per quanto una generazione intera di americani lo facesse.
Intanto la fame era tornata, perciò mi arresi al brontolio dello stomaco ed entrai in pizzeria. Mangiai con voracità – da quanto non mangiavo pizza? Poi un bruciore insistente cominciò a serrarmi la gola. Abituati, sorella, siamo sulla stessa barca.
Il bisogno del sangue di Alexander era più forte della sete per l'acqua, ma dovevo continuare ad andare avanti senza. Non potevo permettere che un semplice errore – un morso quando non era il momento – rovinasse tutta la mia vita. Quanta gente mordeva? Eppure non erano vincolati da nulla. Dovevo vincere questo bisogno insostenibile ed inutile. Non lo avrei più rivisto, a che scopo diventare dipendente da lui?
Le necessità del cuore, invece, erano davvero troppo complicate: preferivo distrarmi per non soffrire troppo anche per quell'inutile muscolo.
Presi un cartone di latte al bar e mi diressi verso il motel. Verso casa.
Due ubriachi sostavano sul corridoio accanto alla mia porta. Quando mi avvicinai per entrare, allungarono le mani. Ringhiai, ma parvero divertirsi ancora di più. Aprii la porta e sgusciai dentro, tirandomi inconsapevolmente i capelli, visto che uno dei due ne aveva afferrata una ciocca.
Continuai a sentire i loro schiamazzi oltre il muro, ma era troppo tardi per chiamare la reception. Sarebbe stata una lunga notte.
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Deimon 2 - La consorte del Demonio
Paranormal«I Bloodwood non sono persone da sposare, ma da evitare. Guarda cosa ha fatto Wladimir con Cordelia, ti aspetti forse un trattamento speciale? Il sangue non mente, e tu non diventare dipendente dal loro. Ti attirano nella loro trappola di seduzione...