24 - Epilogo

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Un ventaglio mi faceva aria, mentre Cordelia diceva: «Respira profondamente».

«Sta per svenire», sussultò Ludovice, mettendosi una mano sulla guancia.

Vivian mi passò svelta un bicchiere d'acqua, che rifiutai.

Quelle tre donne, che si affollavano intorno a me, mi trasmettevano ansia. Ero seduta sulla sponda del letto, e cominciavo seriamente a darmi della stupida. Lo avevo già fatto, cosa cambiava ora? Lo sposo, aggiunsi mentalmente, cercando di calmarmi.

«Se devi vomitare, non farlo sul vestito!», si preoccupò nonna Bloodwood, mandando nel panico le altre due. Peggiorò solo la situazione, dato che ora avevo un'altra preoccupazione per la testa.

Gideon bussò alla porta in un impeccabile completo nero, e disse: «Capisco che vi piaccia essere desiderate, signore, ma siamo in ritardo di quarantacinque minuti. State prendendo sul serio la faccenda dell'eternità».

Se non avessi avuto l'ansia che mi stringeva come una morsa, avrei riso. Gideon non era mai stato molto incline a capire il genere femminile, anzi molto spesso cadeva in stereotipi ormai superati.

Presi un profondo respiro, ma quando mi alzai la testa tornò a girare troppo, facendomi cadere sul letto. Mi sdraiai, sconfitta e decisa ad odiarmi per il resto della mia vita. Stavo rovinando il mio giorno più bello per una stupida ansia.

«Credo sia meglio la lasciate un po' da sola a calmarsi», suggerì Gideon. Annuii, temendo che parlare mi facesse incrinare la voce. Ma potevo essere più stupida? Le donne, tre cicloni al massimo della loro capacità, uscirono, continuando a sussurrarsi rimedi per quel mio stato. Ludovice insinuò almeno un paio di volte che fossero chiari sintomi di gravidanza.

Cercai di respirare a fondo con la bocca, quando qualcun altro bussò. Wladimir si sporse, chiedendo: «È permesso?».

«No», mugugnai.

«Tirati su, che è peggio così», disse lui, sostenendomi dai gomiti. «Ansia da matrimonio, eh?».

«Non immagini neanche», borbottai, fissando il pavimento che ondeggiava un po'.

«Fidati, so cosa vuol dire. Prendi dei respiri profondi, dammi il braccio ed attraversiamo la folla», propose in tono gentile. E questo non fece che peggiorare la situazione.

«Mio padre avrebbe dovuto portarmi all'altare», sussurrai, affranta.

«Sono sicuro che vorrebbe che fossi felice, in questa occasione», disse, mentre mi prendeva il braccio e lo intrecciava al suo.

«Sono in overdose di felicità», risposi, stabilizzandomi sui miei piedi.

«L'hai già fatto», mi ricordò, cercando di calmarmi.

«Non per sminuirti, ma lì fuori c'è Alexander», puntualizzai, osando abbandonare la vista del pavimento per fissarlo in volto. Si era fatto la barba, finalmente, ma i suoi occhi apparivano ancora amareggiati.

«Mi sono offeso», rise, ma il divertimento non raggiunse il suo sguardo. «Ora forza, andiamo a prendere un trono».

Fece un passo in avanti, aspettando che lo seguissi senza svenire. Dopo qualche passo per il corridoio riuscii a stabilizzarmi sui tacchi. Wladimir attese pazientemente, senza mettermi fretta.

Ovviamente la cerimonia era stata molto curata, a dispetto del matrimonio precedente, piuttosto frettoloso e privo di fronzoli. La piattaforma al centro della sala era occupata dal celebrante e da Alexander, e anche da quella distanza riuscivo a vedere il suo sorriso. Indossava uno smoking e camicia neri, ma la cravatta era completamente bianca. Mi si mozzò il respiro più volte, nonostante le rassicuranti parole che Wladimir mormorava al mio fianco. Arrivati alle scale che mi avrebbero portato su quella piattaforma sopraelevata, l'uomo mi lasciò il braccio, facendomi un occhiolino veloce e prendendo posto ad una delle sedie più vicine, distribuite a raggiera intorno alla piattaforma circolare.

Salii i cinque scalini quasi con impazienza, a dispetto dell'ansia di pochi attimi fa. Alexander si chinò a darmi una mano con l'ultimo, a causa dei maledettissimi e vertiginosi tacchi che avevo sotto il vestito - ed erano pure invisibili agli invitati! Al mio primo matrimonio avevo optato per calzature più comode, ma c'era stato un particolare piuttosto pressante questa volta: nonna Ludovice. Non aveva voluto sentire ragioni, come se un tacco dieci fosse di vitale importanza tanto quanto la cerimonia stessa.

Sembrava che tutta la Corte si fosse riunita; io non avevo occhi che per lo sposo.

Il celebrante cominciò a parlare, ma non gli prestai molto ascolto, troppo emozionata. Sentivo il cuore battermi nei timpani, ed un sorriso si era ormai stampato sulla mia faccia. Alexander continuava a restituirmi lo sguardo, raggiante nel suo smoking completamente nero, ad eccezione della cravatta.

Le parole dell'uomo accanto a noi arrivavano sempre con un minuto di ritardo data l'emozione e la nostra attenzione rivolta l'un l'altra, e fu per questo che mi accorsi dopo un po' della sua ultima frase: «È perciò un onore far parte di questa causa».

Mi voltai, osservandola dubbiosa. Forse la mia gioia mi aveva distolta dal celebrante e la mia mente aveva capito un'altra cosa.

Da sotto la tonaca nera, l'uomo tirò fuori una spada. Era lunga e ben affilata, ma era troppo minacciosa per essere un rito per il matrimonio. Prima che qualcuno potesse anche solo fiatare, il celebrante colpì Alexander nella pancia, affondando l'arma fino all'elsa.

Urlai, ma quando feci per avvicinarmi a lui, un coltello comparve contro la mia gola. «Questo è per essere fuggita», rise Galvan al mio orecchio.

La folla intorno urlava e correva a destra ed a manca in preda al terrore, ma tutti quelli che identificai come Silentowl erano armati di spada ed intimavano il silenzio.

«Ordine, se tenete alla vita!», continuavano ad urlare i traditori.

I miei occhi corsero ad Alexander, che si era accasciato a terra. Cercai di divincolarmi con l'intenzione di raggiungerlo e dargli il mio sangue per guarire, ma Galvan mi strinse ancora di più.

Sentii qualcuno dire: «Questo è per Geltrude Silentowl», e con la coda dell'occhio vidi Cordelia accasciarsi. L'urlo di Wladimir mi sorprese.

«Alexander!», singhiozzai, cercando di vincere la presa di Galvan. Il coltello mi recise la pelle della gola, facendo cadere qualche gocciolina sul corpetto bianco, ma io non demorsi.

In tutto quel trambusto - persone che lottavano, altre che invocavano aiuto - non riuscii a sentire la sua voce, ma lì, steso ad occhi chiusi con espressione sofferente, vidi le sue labbra muoversi. Aveva detto il mio nome.

I miei occhi si riempirono di lacrime, rendendo tutto offuscato, mentre mollavo una gomitata all'indietro a Galvan, che preso alla sprovvista mi lasciò. Mi buttai a terra, accanto ad Alexander, e lo scossi. Aveva un'espressione rilassata, e questo mi fece temere il peggio. Morsi con tutta la forza che avevo il mio polso, là dove le vene erano più visibili, e poggiai la ferita sulle sue labbra. Con orrore vidi che non reagiva.

Un grido si elevò su tutti gli altri, peggiorando solo la situazione. «Il Palazzo è sotto assedio! Gli Angeli sono qui!».

Cercai con gli occhi qualcuno in quel putiferio che potesse aiutarlo, ma Wladimir aveva tra le braccia Cordelia, che aveva un brutto taglio sulla tempia, Vivian teneva Jordan dietro di sé, nascosto tra le pieghe della lunga gonna per proteggerlo e Gideon stava combattendo con una spada contro un Silentowl, come se fossimo tornati al Medioevo.

Continuai a scuotere Alexander. «Non lasciarmi», continuavo a singhiozzare, mentre affondavo i denti nella mia carne e gli facevo scendere il sangue tra le labbra. Ma lui aveva reazioni di nessun tipo.

Un forte dolore sulla nuca, e tutto si fece nero. Crollai sul petto di Alexander, e il mio ultimo pensiero fu che non si muoveva. Non respirava.


Deimon 2 - La consorte del DemonioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora