Capitolo uno

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-Alice! Svegliati, è tardi!-
Apro i miei occhi pesanti, mi rendo conto che è appena cominciata un'altra noiosa e piatta giornata. Mi giro verso il comò e osservo il telefono, sono ancora le 6:30 ed io sono sveglia e obbligata ad alzarmi dal letto comodissimo.
Strusciando i piedi come se fossi uno zombie mi dirigo verso la cucina, dove mi aspetta la mia tazza piena di latte e cereali.
Mia mamma mi parla ed io rispondo a monosillabe nascondendo il fatto che non mi interessa ciò che mi sta raccontando, penso a cosa dovrò fare oggi.
Prepararmi per rendere il mio aspetto decente, prendere l'autobus ed entrare in quel carcere chiamato scuola superiore. Attraversare i corridoi facendo finta di essere sola, entrare in classe, seguire le lezioni e tornare a casa, mangiare, dormire, studiare ed andare in palestra.
Ritrovarsi a cenare e poi andare a letto, per poi attendere con il sonno una nuova e ripetitiva routine. Bello no?
Facendo questi pensieri mi accorgo che i miei 10 minuti per fare colazione sono passati, mi dirigo verso camera mia e prendo il primo paio di jeans e la maglia più lunga e larga che vedo.
Mi vesto lentamente maledicendo la scuola, la mattina e in poche parole l'umanità intera.
Mi guardo allo specchio osservandosi e stendo intorno ai miei occhi azzurri un leggero strato di correttore, passo sul mio viso un po di cipria e passo il mascara sulle mie ciglia.
Infine metto un po' di matita per le sopracciglia. Prendo la spazzola e pettino i miei capelli biondi riunendoli in una treccia che appoggio sulla spalla destra.
Infilo il chiodo, le dr Martens, rivolgo finalmente la parola a mia madre salutandola e mi dirigo alla fermata dell'autobus ad aspettare quell'odioso mezzo maleodorante.
Cazzo una doccia potete pure farvela? No?!
Mi metto accanto ad un ragazzo che suona il tamburo con me, mi prende sempre il posto sul pullman. È più piccolo di me, ma mi fa sorridere.
Accenno un sorriso dicendo buongiorno, infilò le cuffie e mi immergo nel mio mondo di canzoni poco conosciute che nessuno capisce, proprio come nessuno spesso capisce me.
Dopo un viaggio noioso di 40 minuti arriviamo a scuola, appena scendo dall'auto bus posso notare subito un branco di ochette che si atteggiano nel parcheggio della scuola.
Firmate da capo a piedi, rossetto, trucco pesante, sorriso falso e sigaretta che non sanno neppure fumare.
Stamani non posso fumare, perché il mio cazzo di pullman è arrivato tardi.
Mi dirigo verso l'aula di informatica deglutendo pensando alla mattinata che mi aspetta, prendo posto accanto alla mia migliore amica che è quel piccolo fascio di luce che ti permette di distinguere gli oggetti in una stanza buia, quel fascio di luce che ti permette di non aver paura.
Si chiama Era, ha dei lunghi capelli ricci castani, che purtroppo porta quasi sempre legati.
Ha gli occhi color nocciola con alcune sfumature verdi, quando il sole li colpisce diventano verde scuro in cui potresti perderti.
Mi sorride e ci mettiamo a fare informatica.
Ho un prof stupido, incompetente e pazzo. Non ha senso che lui sia di ruolo mentre ci sono tanti ragazzi intelligenti senza lavoro, ma questo mondo è ingiusto.
La mattinata finisce in fretta, fra economia, diritto ed italiano.
Ho notato che le mie compagne di classe sono più stupide di quanto pensassi, cercano di essere intelligenti ma provano invano visto che non ci riescono.
La cosa più importante che può succedere nel mondo a parer loro è che Louis Vuitton crei una nuova collezione di borse.
Quando esco dalla scuola riesco a respirare e salgo finalmente sul pullman, che anche alle 12:40 è maleodorante.

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