Specchio riflesso

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Mi piace seguire il percorso delle gocce sul vetro della finestra. Di notte mi sveglio spesso se c'è un temporale, mi alzo e sto alla finestra. Ascolto il vento che si fa più insistente e presente; porgo la testa all'esterno per recuperare la tenda che tenta la fuga.
Guardo le foglie che cadono, non più lente per godersi il dolce piacere dell'immigrazione, ma, rapide e veloci, si ingarbugliano tra gli aliti improvvisi di vento. Le gocce cominciano a picchiettare sulla mia finestra, come a cercare attenzioni ad uno spettacolo monotono e ripetitivo.
Accendo la luce, ormai invaghita dalla bellezza della pioggia, ne cerco una a me più famigliare. Apro un libro. Non importa più l'ora, il giorno, la stanchezza, lo stato d'animo. Le pagine non mi abbandonano. Mi danno sicurezza, mi concedono svago e mi regalano occasioni per riflettere e crescere. Tra la debole luce della lampada e le pagine sottili, ritrovo il sapore della mia infanzia, dei miei ricordi. E il libro diventa più opaco, lontano, quasi un alone di luce.

La pioggia picchietta sul terreno ormai umido, scalfito dai passi del mio passato. Essa porta il freddo e, con questo, il bisogno di calore. I miei pomeriggi di pioggia sono sotto le coperte, tra le braccia della nonna, conservando la campagna bagnata. Disegnando percorsi tra le gocce e preparando un dolce, tiravamo fuori gli abiti invernali dalle fantasie più disparate, sfilando in passerella con i fulmini come riflettori, le risate come applausi.
Le mie giornate di pioggia sono passato: passato di sorrisi e sapone per mani, di libri di filastrocche e di canzoni sussurrate, delle foto sulla parete e dei cartoni in televisione. Le mie giornate di pioggia sono ricordi, chiusi nell'armadio dei travestimenti, chiusi dentro a una casa in campagna, chiusi dentro a un'infanzia e a una vecchiaia.

Sotto alle nuvole mi abbandono a pensieri, come la morte. Quando ero più piccola temevo la morte, perché porta via i più cari, perché porta con sè la gioia. Ma non è così. Infatti la morte è come la vita: un passaggio, una fase.
Io non ho paura della morte. Non la cerco, ovvio, ma se mi capitasse davanti, non la caccerei via. Non ho vissuto al massimo delle mie possibilità, non ho provato ogni emozione, non ancora scoperto chi sono e non capisco ancora chi sarò, ma se me ne andassi adesso, con soddisfazioni, sensi di colpa, rimpianti avrei la consapevolezza di aver lottato, riso, sospirato, studiato, pianto, di essere caduta, ma di essermi rialzata, di aver vinto, di aver cantato, sognato, perso, di essere cambiata, di averci provato. Non ho amato. La vita non mi ha ancora donato l'amore, amore vero. A volte penso di non meritarmelo, almeno non ancora: perché chi sono io per ricevere amore? È un dono, proprio come la vita, ma un regalo, per chiamarsi tale, deve essere consegnato da qualcuno, ma io non l'ho ancora trovato. E allora penso a me, a chi sono, a chi ero, alle mie aspettative e alle mie ambizioni. Sento di essere cambiata molto, soprattutto nel corso di quest'ultimo anno: i miei pensieri sono cambiati, i rapporti con i miei amici sono cambiati. A volte mi chiedo se stai facendo le scelte giuste.

Sono Caterina, ho quattordici anni e non so ancora chi voglio essere.
Sono Caterina, ho quattordici anni e vorrei rimanere me stessa, senza contraddirmi e senza andare oltre ai limiti che mi sono imposta.
Sono Caterina, ho quattordici anni e vorrei diventare tante cose, e, anche se a volte provo ad imitare chi non sono, vorrei non provare mai vergogna per chi i sono stata.
Sono Caterina, ho quattordici anni e amo la pioggia perché mi permette di pensare, di ricordare.
E il ricordo è l'unico modo per non sbagliare. Ancora

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Ecco qua, è stata un'impresa scrivere tutto il testo dal cellulare... :) Comunque spero che vi piaccia, è un tema scritto per le vacanze estive con traccia : "Pensieri in un pomeriggio di pioggia".
Baci,
Cate


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