Sotto il cielo di Capraia (p. 1)

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So esattamente dove dirigermi, come muovermi, dove girarmi, cosa evitare. Conosco ogni insenatura e ogni roccia sporgente, quasi fossero delle piaghe del mio stesso corpo. Non temo l'ostilità del paesaggio, non temo le voci che infangano il meraviglioso ambiente che mi circonda. Abbasso la testa per evitare la collisione con un grande ramo sporgente, afferro la corteccia, strappandomi le mani, lasciando una traccia. Scivolo su una pietra liscia, poggio le mani sul terriccio, ma questo si frantuma intorno a me, sollevando una nuvola di polvere scura e accecante. Riesco ad afferrare una radice, spostando i fianchi e ruotando le anche. Respiro profondamente e sollevo lo sguardo: l'odore delle mie cosce bruciate sovrasta il profumo dolce, ma pungente del rosmarino selvatico. Mi concedo qualche minuto di solitudine e di riposo, facendomi accecare gli occhi dall'immensità dell'acqua davanti a me. Le onde sbattono e si rompono sulla scogliera frastagliata ma, sotto il pelo dell'acqua, sono facilmente individuabili i pesci che brillano. Mi sollevo delicatamente e continuo il percorso, ormai tante volte seguito, ma è indispensabile non sottovalutare l'energia e l'ostilità di Capraia, che provoca bruciature alle mani.
Salto su un masso e mi abbasso, tendo il braccio facendolo scorrere nello spazio tra le due rocce. Spingo fino a farmelo graffiare ma, a un certo punto, sento un tintinnio: afferro la bottiglia di vetro per il collo e, lentamente, riporto l'arto in superficie. All'interno trovo ciò che aspettavo da qualche giorno: un biglietto accuratamente arrotolato e fermato con un laccetto. So che è pericoloso, ma non posso evitare di trasgredire la regola con Jean e sfilo il piccolo nodo. Le mie dita aprono voracemente la carta e i miei occhi bramano di leggere l'inchiostro impresso su questa. Però mi fermo, blocco persino il mio respiro, le mie orecchie pulsano, facendo rimbombare il battito pressante del cuore. I grilli hanno terminato il loro incessante canto, le colombe, nascoste dal caldo nella torre, non fanno frullare più le ali. Afferro il biglietto, ma abbandono la bottiglia del latte. Oggi ho infranto già due delle mie regole con Jean. Devo essere più prudente.
Decido di non tornare subito a casa: la temperatura si è alzata e non sono in grado di affrontare la salita che mi riporta in paese. Aspetterò e i miei impegni con me.
Arrivo nel mio angolo preferito e mi sfilo la canottiera, ormai madida di sudore e di terra, mia madre non sarà contenta: lei è convinta che abbia rovinato il buon nome di mio padre. Slaccio le scarpe e le abbandono lì accanto. Prendo una leggera rincorsa e tendo i muscoli delle gambe: prima le mani poi le spalle, infine la testa. La freschezza dell'acqua mi provoca un brivido lungo la colonna vertebrale, la schiuma mi solletica il naso e le palpebre. Apro gli occhi, anche se il sale me li farà bruciare un po'. Vedo i miei capelli che fluttuano accanto a me, come dei tentacoli esterni al mio corpo. Decido di avventurarmi un po' tra rocce ed alghe, evitando qualche pesce e degli anemoni. Comincia a mancarmi il fiato e la necessità di ossigeno comincia a grattarmi la gola e a ovattarmi le orecchie. Mi lascio sollevare dalla forza di gravità e guardo gli effetti che questa ha su di me. Osservo il confine tra acqua e cielo, come dietro a una pellicola che si muove leggermente, spinta dal vento e dalla corrente. Torno velocemente in superficie, traendo una profonda aspirazione, con la quale ingoio anche un po' di acqua.
"Buongiorno, sirenetta" smetto di tossire e sputacchiare, improvvisamente richiamato alla realtà.
"Jean" È nella barca di suo zio, dove lavora da qualche mese.
"Hai ricevuto il mio messaggio?" vorrei spingermi più in là, accorciare la distanza che, inesorabile, ci separa. Annuisco tra le onde: "Certo".
"Pensavo di vederti scappare subito via per andare a leggerlo a casa..."
"Sì, però... sono le due, muoio se faccio il sentiero adesso. Non è che potrei stare un po' con te?" So già cosa mi risponderà, ma accettare questa condizione di sofferenza mi risulta impossibile. Anche se alcune goccioline di acqua sono ancora catturate nelle mie ciglia, riesco a notare la sua espressione di dispiacere, ma anche di impotenza.
"Lou..." "Lo so, ho capito" e mi tuffo in acqua, dove le orecchie vengono inondate, impedendomi di pensare troppo forte e dove il sale delle lacrime si confonde con quello marino. Sento dal fondale la voce di Jean, ma non mi fermo. So che non ha colpa, ma è pur sempre di sette anni più grande, dovrebbe tentare almeno di proteggermi. Raggiungo velocemente la roccia da cui, come una mano tesa a sollevarmi, mi accoglie un ramo. Mi infilo tra le rocce e, nell'ombra, osservo. Per un po' mi cerca, poi, però, viene richiamato all'ordine dallo zio e deve abbandonare la sua postazione.
Mi faccio scottare un po' la pelle dal sole, mi costringo a non pensare, a non cadere nel vortice della disperazione e del rimpianto. Sono tanto bravo a rimpiangere quanto a non fare assolutamente niente e a infrangere le promesse. Saranno le sei o le sette, il tempo corre, ma non lo sento scorrere, distaccato dal mondo, se non sentissi il mio respiro tra le labbra, penserei di essere morto. Immagino mio padre seduto accanto a me, immagino la mia vita se decidessi di diventare finalmente un uomo, immagino la mia vita se decidessi di ascoltare mia madre e creare un mio piccolo nucleo famigliare. Immagino invece un futuro prossimo, nel quale mia madre deve ancora mantenermi, tra un lavoro e un altro, ricavando un piccolo guadagno per le mie spese e i miei vizi. Comprendo che non posso più continuare con la spensieratezza, sfoggiando la mia età come unica giustificazione. Ho vent'anni, è finito il tempo della paura del buio e dei mostri sotto il letto.
Mi infilo di nuovo le scarpe, con dei nuovi obiettivi precisi, con la consapevolezza che la mia vita cambierà e il passato verrà dimenticato ma, tra i lacci, noto un piccolo rotolo di carta sottile: il biglietto di Jean.

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Prima parte di un racconto a cui tengo molto. Il seguito nei prossimi giorni.
Bacini ❤

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