Capitolo 5 - La Casa Oscura

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"Sono qui, padre."

"Non imparerai mai, Nidham" l'uomo si voltò lentamente, guardandolo con occhi di ghiaccio, neri, laddove quelli del figlio, pur così simili ai suoi, avevano il colore indefinito delle nubi prima di una tempesta. "Quando siamo soli non voglio che tu mi chiami padre."

Il tono beffardo della sua voce continuava a ferire il giovane, ma alzò il mento, abituato a nascondere quel dolore anche a se stesso.

"Come preferite, mio signore."

Vide il pugno calare su di lui, rapido e feroce, ma, pur potendo facilmente evitarlo, rimase immobile, irrigidendo solo i muscoli del torace, mentre il colpo alla bocca dello stomaco gli mozzava il respiro.

"E non osare rivolgerti a me con quel tono."

Nidham chinò per un attimo il busto, digrignando i denti, senza emettere suono, senza indietreggiare di un passo.

Forte e fiero, fronteggiò con rabbioso coraggio quell'essere con l'aspetto umano che, indolente e sardonico, pareva essere la sua immagine speculare, come un ironico annuncio di ciò che avrebbe dovuto diventare, quasi si trovasse davanti ad uno specchio, tanto simili erano nel corpo, alto e muscoloso, e nei tratti perfetti e duri del volto. Non così era per le loro anime. Non ancora.

"Hai almeno eseguito il semplice compito che ti ho assegnato, mio inutile e deludente figlio?"

Stringendo il pugno, Nidham scagliò un piccolo sacchetto di pelle nera sul tavolo.

"Ecco qui il pagamento del Mago. L'ho preso senza che se ne accorgesse, come avete richiesto."

"Non temere che quel piccolo stolto non conosca il prezzo delle sue azioni. Egli ha visto e sa. Puoi forse disprezzare me, per ciò che qualcun altro sceglie di compiere? Puoi forse tu, davvero, disprezzare qualcuno? Proprio tu, che hai compiuto azioni peggiori di chiunque altro, dentro la mia Casa?"

"Io non ho..."

"Cosa? Non hai assaggiato la carne di quella cagna di tua madre? O forse non ti sei lordato del sangue di quella creatura inutile che era tua sorella? Sai, da secoli, qui dentro, nessuno aveva più alzato le mani contro individui della propria famiglia ed era stata mia ferma intenzione mantenere questa tradizione, quasi fosse una legge. Ma adesso, se non voglio punire il mio stesso sangue, devo accettare che il tuo esempio venga seguito da altri. E solo tu ne sei responsabile."

Un ringhio basso risuonò nella gola di Nidham, mentre il volto si distorceva nel ricordo straziante della sua colpa.

"Se almeno avessi imparato a non dolerti delle tue azioni, se io avessi intravisto in te la volontà del tuo gesto, avrei potuto concederti di nuovo un briciolo di stima, ma non è così. Ti ostini a negare la tua natura e sei inutile quanto quella sgualdrina che ti ha generato."

"Mia madre non era una sgualdrina e non ha avuto colpa di nulla. Se vi ho deluso, l'ho fatto io solo."

"Su questo non ho dubbi" sbuffò, deridendolo. "Sai, ho provato in ogni modo a cambiarti, a farti diventare degno del ruolo che dovresti ricoprire, ma tutto si è rivelato inutile."

"Allora perché non mi uccidete e finiamo una volta per tutte questa storia?"

"Ci ho pensato, spesso. E credimi, lo farei, se solo non temessi di dare forza a ciò che viene trattenuto da questa pur misera prigione che è il tuo corpo di carne e sangue. Per ciò che mi riguarda, saresti sicuramente più utile da morto, almeno mi libererei del peso di dover osservare ogni giorno il mio fallimento."

Nidham chiuse gli occhi, rifiutandosi di abbassare la testa davanti a tali invettive. Il corpo contratto, i denti quasi digrignati, lasciò che il veleno di tali parole penetrasse nella sua mente e nel cuore, anelando, ad ogni suo battito, l'insensibilità.

Un tempo, ormai tanto lontano da ritornare ai suoi occhi quasi come un sogno, aveva visto suo padre sorridergli, fiero, e aveva goduto dei suoi insegnamenti, così duri e così preziosi.

Era solo un bambino, ma presso la Casa Oscura non esistevano bambini ed egli veniva allenato con ferocia e determinazione, ma era suo padre,a guidarlo; suo padre che lo scagliava a terra con la forza di un colpo di spada, che bruciava la sua carne col fuoco di un incantesimo, che lo costringeva ad allenamenti estenuanti e dolorosi, fino a vederlo crollare esausto, coperto di lividi e ferite, per poi tendergli la mano, con un sorriso appena accennato sul volto, mentre lo aiutava a rimettersi in piedi. Aveva amato quell'uomo, ammirandolo oltre ogni misura. Era solo un bambino ed egli era suo padre e il suo re.

Tutto era finito, un giorno. Senza motivo, né spiegazione, almeno che egli comprendesse. E per anni l'aveva cercato, quel motivo inesistente, per anni aveva distrutto se stesso nel tentativo di ritrovare ciò che, con la sua incapacità, si accusava di aver perso.

Anche adesso, pur conoscendo la verità sul suo re, e considerando morto suo padre, portava evidenti i segni di quelle ferite, mai rimarginate.

"Ho il vostro permesso di andare?" sibilò, tornando a fissarlo negli occhi.

L'Appeso gli voltò le spalle, portandosi presso l'unica finestra della stanza.

"La notte è quasi giunta al termine. Il Matto ha eseguito il suo compito. Dovremo aspettare solo un ultimo ciclo lunare e la Ruota non potrà più essere fermata. Ma questo non ti rende felice, vero, figlio mio? Non leggo soddisfazione, nei tuoi occhi. Tu vuoi che la notte finisca."

"Io voglio che ad ogni notte possa seguirne un'altra."

L'uomo rise, divertito.

"Il mio erede brama la luce del giorno, se non fosse tragico, potrebbe quasi essere affascinante. Mentre il mio popolo sciama per la valle, agognando ogni attimo di tale meritata libertà, colui che un giorno dovrà guidarlo e proteggerlo non è in grado di condividerne i desideri."

"E'forse per questo che amano voi e non me. Ma non vi conoscono."

"Porterò a quelle inutili, disgustose creature ciò che mai hanno osato sperare. Se non conosceranno me, ti assicuro che riconosceranno la mia gloria."

"I Cinque e la loro corte sono già vicini all'Imperatore. Attraverso di loro, così come degli altri vostri emissari, potreste guidare la vita stessa dell'Impero. La nostra reggia, da sempre, vive tanto nascosta, quanto vicina agli uomini. E' così che deve essere."

"Deve essere come io deciderò che sia. E così sarà, puoi credermi, figlio. Quando il mondo si dimenticherà di noi, noi avremo il mondo" senza degnarlo di un altro sguardo, lo congedò con un cenno della mano. "Vattene adesso. Torna a strisciare nei corridoi bui dei tuoi sensi di colpa e della tua contorta morale. E non osare comparirmi davanti, finché non sarai convocato."


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