Capitolo 3-Il Mago

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Il Mago osservava la festa con superbo distacco. Basso, soprattutto rispetto all'uomo che l'accompagnava, fisico esile, capelli di un biondo acceso, in contrasto col nero profondo degli occhi, da lui emanavano una forza e un'autorità quasi tangibili. Pur seduto su un elegante scranno, in fondo alla sala, quasi in disparte, la sua presenza riempiva la stanza. Sembrava potesse vedere tutto, ascoltare tutto, come se le mura stesse fossero una sua emanazione, un prolungamento dei suoi arti.

Quandolo sguardo distratto si posava su un gruppo di accademici, questi rabbrividivano leggermente, consci degli occhi che scivolavano sulle loro schiene, leggeri come piume e affilati come spade.

Il Mago era l'anima stessa dell'Accademia, la pietra di volta che la sosteneva. La sua autorità era indiscussa ed indiscutibile, pari a quella dell'Imperatore, almeno all'interno delle mura dell'istituto.E proprio grazie a un tale potere, l'Accademia, nel corso dei secoli,aveva potuto mantenersi libera da influenze politiche e giochi di palazzo. Non del tutto, certo, era pur sempre parte del regno, ma, in quanto culla della cultura, manteneva quella libertà necessaria per coltivarla. Il motto degli accademici era: "Sapere, non potere",poiché la conoscenza, in ogni sua forma, avrebbe sì potuto guidarli al potere, ma il potere non avrebbe mai dovuto inquinare la conoscenza.

Ovviamente,come tutti i principi degli uomini, per quanto giusti e saggi,anch'esso aveva dovuto scontrarsi con la realtà e con la debolezza di coloro che tale principio propugnavano.

"Mio signore" la voce profonda e fredda dell'Asso di spade riscosse il Mago, portandolo ad inclinare appena la testa verso di lui."Se mi è concesso, molti accademici continuano a osservare il buio e so che sussurrano di questa notte. Si meravigliano che abbiate voluto dare una festa proprio in tale occasione."

"Stanno dunque contravvenendo al mio ordine?" un sogghigno incurvò appenale labbra sottili, rendendo il volto simile a quello di un rapace che avesse avvistato una preda.

"No, mio signore" il cavaliere mantenne la voce bassa, un sussurro appena percettibile, ma cercò di negare con una veemenza che non sfuggì al suo interlocutore. "Non volevo intendere niente del genere. Ma voi stesso sapete, come loro, la verità."

"La verità è un concetto sottile, mio Asso. Se interrogherai dieci uomini diversi sulla stessa verità, ne sentirai altrettante versioni discordanti. Come potresti dunque decidere quella a cui dar credito? Non sarebbero forse tutte ugualmente reali? O magari non lo sarebbe nessuna. E se dovessi affidarti ad un tuo giudizio, immancabilmente finiresti per creare tu stesso un'altra verità. Ne convieni?"

"Ma alcune realtà rimangono incontrovertibili."

"Niente lo è, poiché ogni visione, ogni accadimento viene filtrato dagli occhi. E gli occhi di un uomo non sono stati creati per osservare la realtà, quanto per interpretarla. Da ciò nasce la nostra stessa forza."

"Ma ciò che viene studiato e compreso deve poi essere messo a conoscenza degli altri, in modo che ogni nuova verità, o visione di essa, possa essere a sua volta interpretata e modificata. Da ciò nasce la differenza tra un ordine e un'idea."

Gli occhi del Mago si strinsero con odio, mentre li volgeva sull'uomo,trafiggendolo. L'aveva riconosciuto tra i tanti soldati addestrati all'Accademia, come protettori e custodi. Il più abile e coraggioso, l'arma perfetta. Colui che era nato per essere il suo braccio, fedele oltre la morte. Ormai erano passati quasi quindici anni e il ragazzo si era trasformato in uomo, forte, fiero nel corpo e nella mente.

"Tu sei la mia spada, cavaliere, non la mia coscienza, né tanto meno il mio giudice. Da quando questi pensieri ti affollano il cuore? Devo forse credere che il tuo Nome non ti appartenga più?"

"Mio signore, io vi sono fedele. Ora come prima, non potete dubitarne"nonostante l'aura di maestà del Mago lo schiacciasse, facendogli quasi tremare le ginocchia, la voce rimase dura e impersonale.

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