Capitolo 12

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La mattina porta con sè realtà, trascina gli uomini nella mondaneità e lascia compiere loro i propri doveri, prima che arrivi la notte, momento nel quale la vita si assopisce per poi ricominciare tutto da capo con l'arrivo del giorno. Come sempre, sto camminando per raggiungere la scuola. Ho bisogno di parlare con Jace, dobbiamo al più presto prendere una decisione riguardo al viaggio nel tempo. Raggiungo il cortile del liceo, affollato come sempre, e cerco con lo sguardo il mio amico. Lo vedo, in mezzo al gruppo dei suoi compagni. Non posso andare da lui in questo momento, la faccenda è seria e va trattata in un momento tranquillo. Vado a sedermi sul mio solito muretto e aspetto impaziente il suono della campanella. E' incredibile come il mondo appaia così differente ai miei occhi dopo le avventure passate. Non guardo più le cose con leggerezza e semplicità, ma mi spingo a fondo, cercando i significati nascosti. Un ragazzo che se ne sta da solo appoggiato al muro potrebbe aver litigato con la propria fidanzata. O con i suoi genitori. Qualsiasi atteggiamento, movimento o apparenza ha un suo perchè, ma è molto più facile osservare la vita da lontano, piuttosto che insinuarsi nelle sue più profonde caverne. Un lieve tocco alla mano mi distoglie dai miei pensieri. "Hai la faccia di chi ha visto l'inferno" bofonchia Jace sedendosi accanto a me. "Grazie mille" rispondo sarcastica. Lui mi guarda con un sorriso furbo, perciò aggiungo:"Sto davvero così male?". La sua risata mi indispettisce ancora di più, ma, ripensando alla notte precedente, non posso far altro che assecondarlo. "Va bene, lo ammetto, oggi non è una delle mie giornate migliori, ora piantala di ridere". I suoi occhi chiari trapassano i miei e abbasso lo sguardo imbarazzata. "Come stai?" mi sussurra lui con tono più serio. Cerco nella mia mente parole che possano servirmi ad elaborare una risposta, ma non le trovo. Non ho nulla da dire, la mia testa è popolata da frasi sconnesse e piccoli demoni che cercano di contaminare gli ultimi pensieri positivi che mi sono rimasti. "Tu come stai?" chiedo a quel punto. Jace inarca le sopracciaglia e inizia a tortutarsi nervosamente le mani. "Come vuoi che stia? Vorrei non essere così confuso, vorrei poter sorridere sapendo che l'unico problema è il quattro in matematica da recuperare, vorrei non avere questa vita". Le sue parole risuonano strozzate, come se fossero state estrappolate con forza dall'interno della sua anima. Prendo la sua mano e la stringo tra le mie. "Non sei da solo" mormoro trovando il coraggio di guardarlo negli occhi "E in due le difficoltà di superano sempre". Mi rivolge un sorriso triste e mi basta uno sguardo per comprendere i sentimenti negativi che lo attanagliano. Nel blu dei suoi occhi nuotano dolore, angoscia, confusione e senso di fallimento. Mi sembra di specchiarmi. "Credevo di dover essere io a darti forza e conforto" bofonchia infine Jace. "A volte le cose cambiano. L'importante è che uno di noi abbia ancora speranza da dare all'altro". Non aggiungiamo altre parole. Il silenzio ci ricopre e non facciamo nulla per mandarlo via. Solo il suono della campanella riesce a farci uscire dalla nostra quiete. Ci alziamo entrambi dal muretto e ci salutiamo. "Ti va se nel pomeriggio parliamo della proposta di Armela?" mi chiede Jace tranquillamente, con un tono di voce calmo e serio. "Sì. Assolutamente sì. Alle quattro vediamoci qui". "Perfetto. A dopo, Ginevra". Non riesco a trattenere un sorriso nel sentire il mio nome completo e sottolineato. Non mi abituerò mai all'idea che qualcuno non mi chiami Gwen. "A dopo, Jace". Ci lasciamo come se dovessimo partire. Forse dopo la conversazione che faremo nel pomeriggio i nostri comportamenti cambieranno. Io gli voglio bene, anche se ci conosciamo da poco. Tutto ciò che abbiamo passato ci ha man mano uniti e sento di aver trovato un vero amico. Percorro i corridoi affolati da studenti ed entro in classe salutando qualche compagno. Fino a poco tempo fa avevo paura della scuola. Le interrogazioni, le verifiche, insomma, tutte le preoccupazioni di studente. Ora, invece, la amo. E' come una droga. Mi permette di dissociarmi momentaneamente dai miei pensieri. Mi siedo nel mio banco e prendo il libro di latino. Per cinque ore sarò fiondata nello studio. Dopo i tormenti torneranno. Ma fino alla fine delle lezioni potrò chiudere momentaneamente i cassetti delle sofferenze.

La principessa di Savalon  (In pausa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora