Capitolo 11

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Sette del mattino, la sveglia suona facendo il suo più brutto che abbia mai sentito, per quanto può essere odioso è l'unico che mi riesce a svegliare. Mi alzo dal letto e mi guardo allo specchio che ho in camera, mi stiracchio e mi stropiccio gli occhi, dal riflesso vedo che sulla sveglia lampeggia il numero sette. Quindi corro in bagno mi lavo il più velocemente possibile, questa mattina non farò neanche la doccia, per quanto io odi scendere la mattina senza farla è davvero troppo tardi e non voglio far tardi già i primi giorni di scuola. Prendo una felpa grigia e un jeans chiaro e li indosso il più velocemente possibile. Scendo giù da mio padre "Clary, oggi hai dormito di più?" ridacchia. In teoria potrei svegliarmi tutti i giorni a quest'ora e non fare tardi ma arrivare in orario come tutti gli altri, questo lui lo sa. Ma non sono capace di non arrivare in anticipo, che sia la scuola o una semplice uscita di gruppo.
"Si, devo scappare. Ciao" Prendo la borsa e corro verso la fermata del pullman. Di solito percorro questa strada in dieci minuti, ma oggi sono arrivata in soli cinque. Appena arrivo affannando guardo il bus andare via davanti ai miei occhi, per quanto io mi fossi sbracciata e agitata per farmi notare dal macchinista, che ovviamente non si degna di uno sguardo e va via, suscitando le risate degli altri passeggeri che probabilmente mi hanno vista.
"Merda" mi scappa di dire ad alta voce, tanto che un ragazzo accanto a me si gira a guardarmi, le mie guance diventano rossissime per la vergogna, non sono solita dire parolacce, ma questa volta non ho saputo trattenermi. Il ragazzo continua a guardarmi mentre dibatto con me stessa se chiedergli scusa o meno quando lui interrompe ogni pensiero nella mia testa dicendo semplicemente "Non è il caso di arrabbiarsi, presto ne arriverà un altro, lo prendo ogni mattina" Okay, distrugge ogni mia speranza che riguarda il non avermi sentito, accenno un sorriso e sento le guance schiarirsi lievemente. "Ohw.." Rispondo solamente. Gli tenderei la mano per presentarmi, ma fa davvero troppo freddo e non mi va di togliere la mia mano dalla felpa che la tiene così calda. "Non sei una a cui piace fare tardi eh?" mi smaschera subito. "No, infatti" guardo l'orologio, sette e trentacinque, comincia a salirmi l'ansia, comincio a pensare ogni ipotetica scusa per coprire una mia eventuale entrata alle nove, se ne possono fare solo quattro in tutto il quadrimestre e il fatto di doverne sprecare una così presto mi da su i nervi. Dopo poco arriva l'autobus e io non sono mai stata così felice di vederlo, anche se di solito ha un odore sgradevole. Salgo e mi siedo sulla prima sedia a destra, il ragazzo di prima si siede più infondo e prende dalla sua borsa delle cuffiette che inserisce subito nel suo cellulare. Arrivata la quarta fermata le porte si aprono e io mi affretto a scendere, cammino il più velocemente possibile mentre guardo ancora una volta l'orologio, sono le otto e cinque. Non è molto tardi considerando che i cancelli della mia scuola chiudono fra cinque minuti e io sono già qui fuori. Arrivo in classe affannando un po e sento le solite ragazze ridacchiare, riesco a sentire un "Oh mio Dio, guarda i suoi capelli" mi giro verso di loro per guardarle con tutto il disprezzo che sento in questo momento, ma appena mi giro anche Alessio ride e scherza con loro, non riesco a guadarle con disprezzo solo con tristezza, anche se il mio sguardo è dritto dentro quello di Alessio, lui smette di ridere e diventa serio. Respiro profondamente e mi metto a sedere nel mio solito banco, per fortuna la professoressa non è ancora arrivata. Scuoto la testa e cerco di non pensare a quanto sia forte la loro risata, e a quanto io sia stupida nel aver avuto ancora fiducia in lui.

Piccoli Per Sempre||Alessio BernabeiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora