Capitolo 12

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Finite le lezioni mi reco verso l'uscita di scuola rapidamente, non ho voglia di parlare o vedere nessuno. Mentre cammino velocemente sperando di non perdere il bus una mano mi tocca la spalla. E lui con il suo incredibile sorriso che stordisce mi sta guardando, il mio sguardo dritto nel suo, posso notare la moltitudine di pensieri che passano nella sua testa dagli occhi persi nei miei, in quel momento è come se non ci fosse più nessuno, come se ci fossimo tagliati via dalla massa di gente che ride e scherza o che corre per affrettarsi all'uscita o quella che si scontra con altre persone senza nemmeno sapere chi fossero. È il suo sguardo che mi catapulta via, ne sono sicura. Lui fa per parlare riesco appena a sentire un 'mi dispiace' ma mi limito a scuotere la testa e a riprendere a camminare. Non è questa la mia felicità. Lacrime mi rigano il viso, non ho voglia di piangere ancora, sentirmi debole, sentirmi fragile, ma non riesco a fermale. Prendo l'autobus arrivando alla fermata giusto in tempo, un odore forte mi pervade le narici posso notare che alla mia destra c'è un barbone la cui probabile causa dell'odore. Mi siedo e guardo al di fuori del finestrino guardando gli alberi, le case, le persone muoversi velocemente, il grigiore del cielo che rispecchia perfettamente il mio stato d'animo in questo momento. Cerco di convincere me stessa che ogni cosa che può farci male nel presente, nel futuro ci aiuterà ad essere più forti, me lo sono sempre detta, fin da piccola, ma puntualmente non ascolto nessuno figuriamoci me stessa. Alla quarta fermata scendo dal bus, l'auto di mio padre è parcheggiata nel vialetto. Comincio a pensare a qualcosa di felice altrimenti dovrò spiegare il motivo della mia tristezza a mio padre e non mi sembra il caso. Ma prima che possa iniziare vengo interrotta da un suono di motore accesso e da qualcuno, probabilmente un ragazzo, che urla il mio nome a gran voce. Mi volto e lui è li sul suo scuter a guardarmi.
"Che cosa ci fai qui?" Dico una volta avvicinatami a lui.
"Ho seguito l'autobus e quando ti ho vista scendere ti ho seguita fino qui" mi dice urlando leggermente cercando di sovrastare il rumore del suo motorino, vecchio e di una brutta tonalità di rosso, anche se amo molto questo colore questa tonalità la trovo veramente brutta.
"Non era necessario che venissi fin qui" rispondo freddamente.
"Si, io dovevo scusarmi con te"
"Ora che l'hai fatto puoi andare" i suoi occhi castani da speranzosi passano a tristi vedo qualcosa spegnersi dentro di lui.
"Lascia che ti spieghi" dice con tono di voce basso e tremante.
"Spiegarmi cosa?" Aumento notevolmente il tono della mia voce, non voglio ascoltare altre assurdità, credevo di star bene con lui al corso ma ora non so più che persone è, se una dolce e simpatica o una stupida e arrogante.
Non trova il tempo di rispondermi, mio padre esce di casa dicendo "Clary va tutto bene? Il pranzo è in tavo.. Oh scusatemi"
"Devo andare" mi limito a dire, prima di entrare in casa e sparire dalla sua visuale. Lo guardo dalla finestra restare immobile a fissare la casa per alcuni attimi, poi mettere in moto e andarsene.
"È tutto apposto papà" rispondo alla domande che non mi ha posto ma sono sicura che voleva pormi, è molto premuroso e so che potrei dirgli tutto, ma non è il momento di parlarne.

Piccoli Per Sempre||Alessio BernabeiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora