i'll move in paris, shoot some heroin and fuck with the stars;

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Il fatto è che Federico della serata che ha passato in compagnia dei suoi amici/coinquilini e con gli orchestranti ricorda poco o nulla, anzi, ricorda fino al quinto bicchiere di vino, perché poi Alessandro ha ordinato un super alcolico e per lui la serata si è improvvisamente fermata. L'unico specchio del piccolo appartamento è in bagno, ed è rigato al centro perché mentre Alessandro lo montava lo ha strisciato con un cacciavite, ma riesce comunque a distinguere tra i suoi tatuaggi un segno violaceo che deve per forza essere un succhiotto, perché quelli che vede sono dei visibili segni di denti e quella mattina si è svegliato con le labbra gonfie e screpolate. Né Alessandro e né Lorenzo sono svegli, e se bisogna essere sinceri anche lui preferirebbe andare di nuovo a dormire, ma le prove lo aspettano e lui non ha la minima intenzione di saltare già il secondo giorno, sarebbe stato proprio da cretini e lui non ha intenzione di dare un'impressione simile.

Infilandosi la prima maglietta con una stampa stupida, una felpa dell'adidas verde e afferrando lo zaino con gli spartiti Federico si prepara per uscire e per affrontare un altro giorno intenso che sarà sicuramente scandito da prove stressanti e frecciatine da parte degli orchestranti. Non si cura di coprirsi i segni con una sciarpa o col fondotinta di Lorenzo (che, bisogna puntualizzare, usa solo quando gli viene l'acne da stress) ed esce di casa correndo verso la metro perché si è dimenticato di fare la benzina e ad andare a prendere una tanica ci si mette troppo tempo; non è in ritardo, ma ci vogliono cinque fermate solo per arrivare al Duomo e poi deve percorrere una quindicina di minuti a piedi in mezzo a persone che corrono proprio come lui. Il telefono continua a squillare e si degna di controllarlo una volta seduto su uno dei sudici sedili del treno, cinque messaggi sono di sua madre che gli chiede come sta, come sta andando a teatro e perché non risponde, due chiamate perse da un numero sconosciuto e qualche notifica su Facebook; sbuffa, la tecnologia non gli è mai andata a genio e il telefono lo usa solo quando deve ascoltare dei dissing che avrebbe poi provato con Alessandro oppure per sentire le sinfonie di Bach (le uniche che era riuscito a scaricare) ma questa mattina ha dimenticato le cuffiette a casa quindi si deve accontentare del ragazzo che sta strimpellando quattro accordi -calanti- per guadagnarsi qualcosa e le chiacchiere martellanti della ragazza al suo fianco che sta parlando al telefono con una sua amica per raccontarle di come il suo ragazzo l'abbia tradita; per sua (s)fortuna non riesce ad arrivare alla fine della storia che è arrivato alla fermata. Stranamente, nonostante sia novembre, non fa freddo e vedere Milano con più di quindici gradi è davvero un toccasana per il suo buon umore, controlla l'orario ed è di nuovo estremamente in anticipo, sospira e decide di camminare con calma fermandosi anche davanti le vetrine.

"Ehi Maestro!" l'accento napoletano è troppo marcato e il tono è troppo colloquiale, ma quando Federico si gira si ritrova tre degli altri componenti della sua orchestra (nota bene: ogni volta che pensa 'sua orchestra' una nota di orgoglio gli fa rigonfiare il petto, e Federico spera che all'esterno non si noti), vestiti tutti e tre con una camicia nera e pantalone elegante realizza che non riuscirà mai ad amalgamarsi col vestiario, ne è più che sicuro. Riconosce due clarinetti ed il contrabbasso, ricambia il saluto con un sorriso di cortesia e si ritrova le spalle circondate dal braccio del più alto dei tre, odia essere il più basso.

"Senta, noi le dobbiamo chiedere scusa per Anastasia, ma sa, quella è tutta strana, brava violinista per carità, ma una stecca di legno con i paraocchi, non so se intende" l'accento dello spilungone è diverso, Federico non è sicuro ma molto probabilmente è pugliese; da come il contrabbassista parla si rende conto che in un certo senso gli fa strano essere dato del lei da persone che hanno la sua età.

"Potete chiamarmi Federico, sono ancora troppo giovane per il lei, non voglio sentirmi come Garenna" la mette sul ridere e infatti gli altri ragazzi si lasciano andare in una risatina "e tranquilli, ieri sera ho incontrato altri due ragazzi, Michael, il violoncellista e l'altra violinista, Andrea, e mi hanno detto la stessa cosa, non me la sono presa, ho sentito di peggio" intorno a questi tre ragazzi si sente bene, scopre che i due clarinetti si chiamano Gennaro e Alessio e vengono entrambi da Somma Vesuviana e che il contrabbassista si chiama Giovanni, detto Gio, e che viene da Bari e tutti e tre sono letteralmente su di giri per aver avuto l'occasione di far parte di una delle orchestre sinfoniche della Scala. Parlano del più e del meno, di cose leggere e, di tanto in tanto, se ne escono con frasi come grande lo zio o fratello sei un mito e questo gli piace da impazzire perché si sente come se fosse con Alessandro, Lorenzo e tutti gli altri del venerdì sera.

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