Domande senza risposte

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- Allora? -
Sospirai. Sapevo che avrebbe incominciato subito con le domande.
- È difficile da spiegare. - Le risposi. - Ultimamente... Mi succedono fatti strani... Tutti così... Uno dopo l' altro... - .
- Fatti... Di che tipo? A parte i capelli, ovvio - mi chiese. - Prima di venire in palestra, un tipo scorbutico mi è venuto addosso senza nemmeno scusarsi, poi svengo senza nemmeno un motivo, infine vengo a scoprire, come se non bastasse, che il tipo scorbutico si è offerto di portarmi fino a casa! Insomma, succede tutto così, come una fila di pedine di domino che cadono una dopo l' altra, facendomi soffrire... - le risposi.
Lei tacque. Forse pensava che fossi pazza.
- Scusa, tu non potresti capire, è una cosa... complicata - le spiegai - certe cose per capirle bisogna viverle. - sospirai.
- Ti capisco, sai. - mi rispose. La sua voce tremava. - Ieri, dopo averti portata da tua madre, esausta, mi sono seduta su una panchina. Poi si è seduto un tipo con le punte dei capelli verdi, sembrava sconvolto perchè continuava a fissarsi le scarpe con occhi sbarrati. Poi mi ha guardata ed è scappato, come se qualcosa di me lo avesse spaventato. Poi stamattina mi sono svegliata e... - non riusciva a continuare. Era sul punto di piangere. Non avevo mai visto, da tutti gli anni che la conoscevo, Vivian così triste. Sospirando, lei si lasciò sfuggire una lacrima. Poi, con entrambe le mani, si tirò con tutte le sue forze i capelli, rivelandomi che era una parrucca, e dopodichè tirò via l' elastico che raccoglieva i suoi veri capelli biondi e li sporse in avanti per mostrarmeli.
No. Non potevo credere ai miei occhi. Era caduta un' altra pedina del domino, la reazione a catena non era ancora finita. E questa volta la pedina, cadendo, aveva fatto molto male: Vivì aveva le punte dei capelli di un rosa fluo, con piccole ciocche verdi qua e lá. Incominciò a piangere.
- Sono un mostro... Cosa mi sta succedendo?  Ho provato in tutti i modi, mamma dice che non è una tinta... -
La abbracciai forte e anche me sfuggì una lacrima.
Non ce la facevo più. Dovevo trovare una risposta a tutto questo. E subito, anche.

- Susy! Vivian pranza con noi? - urlò mia madre dalla cucina. Guardai l' orologio. Avevo perso la cognizione del tempo: ormai erano già le undici e mezza. E visto che la pace con mamma non era sicura, meglio avere qualcun altro per rompere il ghiaccio.
- Sì! - le urlai in risposta.
Ed entrambe ci asciugammo le lacrime.

Quella notte feci un sogno strano.
Era notte fonda e io ero in mezzo a un campo di fiori insieme a Vivì, che danzava agile come una gazzella. Vivì smise di danzare: era pallida. Continuava a tenersi una mano sulla pancia, sofferente.
Io cercavo di aiutarla, ma senza successo. Nel frattempo i fiori attorno a noi incominciavano ad appassire, sgretolandosi uno dopo l' altro.
E io ero sempre più disperata. Incominciai anche io a stare male. Mi sentivo invadere da una profonda malinconia senza motivo. E, una dopo l' altra, le stelle del cielo incominciavano a sgretolarsi, riversando le macerie sul campo. Tutto questo era terribile.
Mi svegliai di soprassalto, sudata dalle punte dei piedi alle radici dei capelli.
D' istinto, scesi dal letto, facendo bene attenzione a non svegliare mamma, e spalancai la finestra, creandomi ancora più ansia: le stelle emanavano una luce più fioca del solito.

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