Louis

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Aggiornamento record? Sì. Mi do il cinque da sola. Finché la barca dell'ispirazione va, la lascio andare.
Ho notato che lo spoiler della OS non se l'è cagato praticamente nessuno, ahahah. Molto bene. La scriverò lo stesso. Pappappero.
E con questa sequela di cazzate, vi lascio al capitolo. Vi auguro un bellissimo Natale, che sia pieno di gioia e cibo e regali e tutto quanto.
Ah, e che il 2016 sia un anno fantastico, che riusciate a realizzare i vostri desideri e che i Larry si slinguazzino in diretta TV.
Buone Feste, little kittens, e grazie di tutto.
Marta
Ps: se riesco a postarne un altro effettivamente prima di Natale, fingete che questi auguri non ve li abbia ancora fatti.

L'alba rossa come tinta di sangue aveva portato con sé un messaggero, giunto dalle gelide lande del Nord con il suo presagio di sventura e di morte.
Edward l'aveva accolto nel suo castello e gli aveva permesso di rifocillarsi al suo desco, per poi guardarlo ripartire a cavallo del suo destriero e perdersi nella foschia di quell'aria insolitamente immobile e calda.
William non aveva emesso un fiato, ma aveva osservato la fronte ampia del suo cavaliere aggrottarsi, mentre i suoi occhi, verdi come le brughiere in primavera, divenivano neri, oscurati dai ricordi dalle grida della battaglia e dalle atrocità della guerra.
Lo osservò accarezzare l'elsa della sua fedele spada, ed in quel momento, seppe che era di nuovo giunta l'ora di sellare Tempesta, e ancora una volta, guardarlo partire senza sapere quando e se avrebbe fatto ritorno ad Arran.
"Louis Tomlinson?"
Il volto gentile dell'infermiera fece capolino dalla porta dipinta di blu e Louis, con un sospiro, ripose il taccuino nello zainetto che si era portato a presso, alzandosi stancamente da quella sedia scomoda.
Entrò nello stretto ambulatorio che sapeva di disinfettante, mentre la donna che l'aveva chiamato consultava dei documenti prima di fargli cenno di prendere posto sul lettino.
Mordicchiandosi una guancia, fece come gli era stato detto, ispirando profondamente.
Odiava gli ospedali, e malgrado fosse lì solo per togliere finalmente il gesso alla mano sinistra, quel luogo pieno zeppo di batteri e moribondi lo terrorizzava. L'umore nero che aveva contraddistinto le sue ultime ventiquattr'ore non aiutava di certo ad alleggerire la tensione che gli serrava lo stomaco in una morsa.
Di Harry nessuna notizia. Nessun messaggio, nessuna telefonata, e più le lancette ticchettavano, più l'ansia cresceva come un verme solitario all'ingrasso nell'addome di Louis.
"Louis, come stai?"
Il vocione imperioso del dottor Peterson rimbombò nella stanza, facendolo trasalire.
"Tua madre sarà qui a minuti, ragazzo. Intanto togliamo quel gesso, eh?" Gli disse l'omone, barba bianca e occhialetti tondi sul naso adunco. Se Louis ancora ci avesse creduto, probabilmente Babbo Natale se lo sarebbe immaginato così.
Il ragazzo annuì insicuro, guardando il medico sistemare le lastre che aveva fatto in mattinata sul diafanoscopio luminoso, grattandosi la lunga barba canuta con fare pensieroso. Fu in quell'istante che la porta si aprì nuovamente, rivelando una Arlene trafelata, i capelli biondi legati in uno chignon disordinato, e orrore! Il camice azzurro macchiato di sangue.
Louis si coprì la bocca con la mano, cercando di placare il conato di vomito.
"Oh, piccolo, scusami," esclamò la donna, sfilandosi immediatamente il camice e gettandolo nel cestino. Il dottor Peterson ridacchiò.
"Mi pare di capire che tuo figlio non seguirà le tue orme," commentò con un sogghigno, mentre Louis impallidiva e si sentiva svenire.
Quel sangue era di una persona! Di una persona! Sua madre aveva appena squarciato il torace di qualche poveretto e se ne andava in giro con i suoi umori sul camice come se fosse una cosa normale.
Provò ad avvicinarsi, ma Louis alzò le mani davanti al volto.
"Non ti avvicinare, macellaia!"

Storse il naso provando a sgranchirsi le dita che per quasi un mese non aveva potuto muovere.
"È così leggera," borbottò a mezza voce, gli occhi fissi sulla mano che pareva pesare una piuma.
Arlene gli accarezzò una guancia.
"È normale, amore, dagli tempo," disse, lasciandogli un bacio sulla fronte.
"Sei un pausa o devi tornare al lavoro?" Le chiese il figlio, guardandola speranzoso.
La madre ricambiò lo sguardo, ma incuriosita.
"Non vedi Harry?"
L'espressione malinconica del figlio fu una risposta più che sufficiente.
"Se vuoi pranziamo insieme, amore. Finché quest'affare non suona, sono tutta tua," gli sorrise, indicando il cerca-persone che portava alla cintura.
"Mami?" Disse lui, prendendole una mano, strattonandola come faceva da bambino.
"Dimmi, Boo."
Si sistemò fra le sue gambe penzolanti dal lettino dell'ambulatorio, scostandogli la frangetta dalla fronte. Qualcosa non andava, e a giudicare dal suo sguardo basso, immaginò la tempesta soggiungere veloce dall'orizzonte .
"Posso raccontarti una cosa?" Domandò il ragazzo, mordicchiandosi il labbro inferiore.
Prima che la donna potesse intervenire, parlò ancora. "Ma niente risposte da mamma! Tu mi ascolti e non dici niente, okay?"
Arlene aggrottò le sopracciglia, ma annuì.
"Farò del mio meglio, amore."
Louis prese un respiro profondo, stringendosi nelle spalle e picchiettandosi sulla gamba le dita finalmente libere dal noioso impedimento del gesso, mentre cercava le parole giuste per cominciare quel discorso senza capo né coda che provava e riprovava nella propria testa dalla sera precedente.
"Io ed Harry abbiamo litigato," decise di iniziare dalla cosa più semplice ed ovvia, "ed è colpa mia," ammise poi, con una punta di amaro in bocca, "ho esagerato, lo so. Lui voleva parlarne, ma io me ne sono andato."
Vide Arlene dischiudere le labbra e Louis scosse la testa, pregandola di lasciarlo continuare. La donna sospirò, ma acconsentì alla richiesta.
"Lui, cioè, io...no, lui, insomma, Harry vorrebbe fare delle cose...e-e va bene, lo capisco, ma...ma non so se...non so se sono pronto," la sua voce sfumò in un mormorio, mentre il suo viso si tingeva di rosso.
"Lou-"
"No, mamma, fammi finire."
Arlene prese posto al suo fianco, cingendogli le spalle con un braccio.
"Lo so che ci tiene a me, lo so, davvero," continuò il ragazzo, il respiro ora più sincopato, "ma non...non..."
Le parole gli morirono in gola sopraffatte da un singhiozzo. Avvertì le labbra morbide di sua madre sulla tempia, mentre lui si lasciava andare ad un pianto silenzioso.
"Piccolo, adesso fai parlare me, okay?"
La mano di Arlene gli accarezzava la schiena, calmando i singhiozzi e cullandolo in quel gesto d'affetto.
Anche la donna prese fiato, soppesando al meglio i propri pensieri.
"Il sesso è una cosa stupenda, Lou."
"Mamma, oddio," piagnucolò lui, tornando a coprirsi il viso.
"Ehi, hai detto niente risposte da mamma!" Sorrise Arlene, afferrandogli le mani e baciandone il dorso.
"Non sarò mai abbastanza grande per sentirti dire una cosa del genere," mugugnò Louis con una smorfia.
Arlene ridacchiò nuovamente, ma continuò.
"Come dicevo, è una cosa stupenda, ma solo quando entrambi i partner lo vogliono davvero."
Louis inghiottì un altro conato di vomito alla parola partner. Gli sembrò di essere stato catapultato all'ennesima, tremendamente imbarazzante lezione di educazione sessuale. E l'insegnante era sua madre. Poteva esserci limite al peggio?
"Non ti dirò che per farlo ci dev'essere per forza l'amore, e bla bla bla."
Louis si accigliò. Quella non era proprio una risposta da mamma.
"Ma perché sia bello davvero, devi sentirti a tuo agio. Qualunque cosa non ti faccia a sentire a tuo agio, amore mio, può compromettere tutto il resto."
Arlene posò due dita sotto il mento del figlio, facendo sì che i loro occhi, così simili eppure così diversi, si incontrassero.
Louis sbatté le palpebre, incapace di sostenere quello sguardo che gli leggeva dentro.
"Un giorno sarai pronto, ma fino a quel momento, non devi sentirti in colpa per aver detto di no. Mai, Louis, lo capisci?"
Il ragazzo annuì lentamente.
"Se Harry invece non lo capisce, mollalo. O gli tiro un pugno in faccia!"
Louis ridacchiò e tirò su col naso, asciugandosi le lacrime che gli bagnavano le guance arrossate.
"Smettila di pensare di non essere alla sua altezza, amore. Sei il ragazzo più bello e più intelligente del mondo," gli sussurrò sua madre all'orecchio.
Louis alzò gli occhi al soffitto.
"Questa è la più classica della risposte da mamma."
Arlene fece spallucce. "Non è vero," gli sorrise e si rimise in piedi, tirandolo con sé, "se sei il mio bambino perfetto non è mica colpa mia."
Non era più solo la sua mano. Ora era tutto il suo corpo a sentirsi incredibilmente leggero.

The Non-So-Secret Lives of Two American TeenagersDove le storie prendono vita. Scoprilo ora