Chapter Eleven - Trust

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Contavo i secondi passare, con lo sguardo rivolto al soffitto, il ticchettio insistente dell'orologio appeso alla parete della mia stanza, e poi io, io e i miei demoni interiori, svegli oppure no, erano in costante lotta, non mi lasciavano mai in pace.

Ero stanca di tutto. Stanca di aver paura, stanca di dovermi allontanare dalle persone, stanca di far finta fosse facile vivere con il costante timore che fidarsi avrebbe portato solamente guai.

Lo avevo provato sulla mia pelle, quella vita era la mia conseguenza.

Dopo aver lasciato Ashton, quel pomeriggio, ero semplicemente corsa nella mia stanza, in procinto di versare altre lacrime inutili, lacrime che non mi avrebbero portato da alcuna parte.

Piangevo per puro sfogo, consapevole che se volevo star bene, avrei semplicemente dovuto dire lui la verità, avrei dovuto provare a fidarmi.

Non sapevo cosa avrebbe pensato, ero certa fosse troppo presto per rivelare ogni cosa, ma nonostante ciò, mi sarei fidata di lui, un giorno gli avrei raccontato tutta la mia storia.

Sospirai pesantemente, tirandomi su a sedere.

Titubante, afferrai il telefono dal comodino al mio fianco, digitando il suo numero più in fretta che potessi.

Lo portai all'orecchio, scostando una ciocca dei capelli rossi.

«Rispondi...» mormorai in un sussurro, attendendo solamente di udire la sua voce dall'altro capo del telefono.

«Mary...» persi un battito, balbettando parole incomprensibili tra me e me.

Sembravo un'idiota, ma la sua voce, nonostante fossero trascorsi pochi giorni, mi era mancata dannatamente tanto.

Deglutì. «Ash...e-ehm, come va?» strinsi il cuscino tra le mie braccia, trattenendo a stento un pesante sospiro.

Non era una domanda opportuna, ma dovevo pur sempre trovare qualcosa per iniziare, sperando la telefonata non sfociasse nell'imbarazzante.

Percepì rumori indistinti, come il rumore di una porta chiudersi, e quello leggero del vento. Doveva essere uscito fuori.

«Bene. Tu?» sorrisi leggermente, addolcita dal suo caldo tono di voce.

Speravo davvero non se la fosse presa troppo.

«Sto...bene, direi.» mormorai in risposta, rabbrividendo quando i miei piedi vennero a contatto con il marmo freddo del pavimento.

Come avevo sperato non accadesse, entrambi non proferimmo più parola, così, senza forse pensarci più di tanto, parlai, buttando fuori in un sussurro le uniche parole che avrei voluto ripetere sin da giorni prima.

«Ho bisogno di vederti.» morsi il labbro inferiore, trattenendo il respiro, finché la sua voce non mi riscosse dall'ansia.

Lo percepì sorridere, nonostante non potessi vederlo.

«Ora, ora ho le prove...» mormorò lui, leggermente allarmato, in cerca di una soluzione.
Accennai un sorriso, intenerita dal ragazzo, prima che lui continuasse, riacquistando un poco di sicurezza.

«Puoi venire da Cal.» disse poi, facendo risultare la frase come un'affermazione, che come una proposta.

«Okay.» detto questo, attesi ancora qualche secondo, mormorando un flebile saluto, prima di chiudere la chiamata, senza aspettare ulteriore risposta.

Masterpiece || Ashton IrwinDove le storie prendono vita. Scoprilo ora