Capitolo 10.

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Dopo essermi infilata un paio di pantaloni stretti neri, le Vans ed una maglia dei BMTH, mi feci una coda alta ed uscii dalla stanza.
Mia madre era ancora nella sua stanza.
Presi un bicchiere di succo e mentre bevevo vidi degli album sul bancone.
Erano gli album di famiglia, e non ero sicura di volerlo aprire, ma lo feci comunque.
Mi sembrava non le vedessi da secoli.
Non potevo credere che quei tempi fossero realmente avvenuti.
Io e mio padre eravamo così uniti.

"Buongiorno tesoro!"

Chiusi l'album ed ingoiai il nodo che mi si era formato in gola, insieme al succo rimanente.

"Giorno!"

Lanciò un'occhiata all'album e poi a me.

"Sono proprio belle quelle foto, vero?"

"Oh, si! Eri brava con la macchina fotografica!"

Ignorai il reale senso della sua frase.
Era troppo presto per un tuffo sentimentale nei ricordi.
Mia madre prese una tazza e sbuffò prima di versarsi il caffè.

"Non intendevo quello!"

"È ora di andare!"

Ignorai di nuovo il suo tentativo di aprire il discorso e andai a prendere la cartella.
Durante il viaggio verso la scuola, nessuno disse una parola.
Mi dispiaceva sembrare così insensibile, ma non ne potevo fare a meno. Era quello che sentivo.

"Devo fare gli esami del sangue, per la scuola."

Mia madre parcheggiò dietro la scuola.

"Oh! Non pensavo servissero anche gli esami del sangue! Non erano richiesti nell'iscrizione!"

"Serve per educazione fisica."

"Capito! Devo ancora organizzarmi per l'assicurazione ma ti prenoterò il prima possibile!"

"Okay!"

Scesi dalla macchina senza aggiungere altro. Ma lei tirò giù il finestrino e si affacciò.

"Megan, non volevo farti innervosire. Ma quando sarai pronta, vorrei affrontare il discorso."

Mi abbassai all'altezza del finestrino e la guardia dritta negli occhi.

"Cosa c'è da affrontare? Lui è la cosa peggiore che ti sia capitata e non lo perdonerò mai per questo. Ci ha perse."

Me ne andai senza aspettare una sua risposta. Non era proprio il caso di affrontare il discorso nel parcheggio della scuola. O meglio, non era proprio il caso di affrontare il discorso.
Mentre camminavo dentro la scuola, l'immagine di quella mattina iniziò a proiettarsi in replica.

Mia madre era furiosa. Non ricordo per cosa fosse partita la lite.
Mio padre si infilò la giaccia pronto a scappare, come sempre.
Mia madre lo afferrò per il braccio e lo guardò dritto negli occhi.

"Cosa sei per questa famiglia? Un padre? Un marito? Una persona su cui contare? Non fai altro che pesare su di noi!"

Lui si sfilò dalla sua presa, senza guardarla.

"Dimmi tu cosa vuoi fare! Uscire da quella porta e non cambiare. O fare ciò che è giusto!"

Non dimenticherò mai il modo in cui si guardarono, prima che lui aprisse quella maledetta porta, ed uscì.
Mi nascosi meglio, perché mia madre non mi sorprendesse ad origliare, e la guardai sedersi sulle scale e cercare di mantenere in suo corpo intero. Come se stesse letteralmente cadendo a pezzi.
Come poteva ora, cercare di ripercorrere un viale da cui, lei stessa, era andata via.

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