Prologo

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Apro gli occhi. Il soffitto in legno, le pareti scure, ho gli occhi così abituati all'oscurità del sonno che non vedo le sagome dei 39 oggetti della mia camera.Già la mia camera, sono qui, come sempre quando riapro gli occhi in modo così rapido. Eppure fino a pochi istanti fa non ero qui, ero... non lo so dove. Non c'era nessuno, non c'era nulla, ero in una stanza, vuota, nera, di solito nei miei sogni finisco in luoghi inaspettati, ma che dico sogni. Non sono sogni i miei. Nei sogni non si ha la percezione sensoriale, non posso avere una così spiccata fantasia da immaginarmi suoni, odori, sapori; e poi posso toccare, afferrare, lanciare gli oggetti. E ricordo tutto, o quasi, non ricordo mai ciò che penso nel... sogno non sogno. È così che li chiamo, ma solo nella mia testa, non mi fido a dire di questi miei viaggi mentali a nessuno. Quasi a nessuno. Qui è proibito fantasticare, è proibito esprimere le proprie idee se non sono assolutamente razionali, scientificamente provate. Non possiamo fare disegni, non possiamo cantare, suonare, ballare, scrivere cose non pertinenti alla scuola o al lavoro. Non possiamo vivere, e nemmeno sognare. Posso solo pensare. Io infrango le regole ogni volta che sogno, ma dovrebbero saperlo che non si può decidere di sognare, e poi non lo sa nessuno. Più o meno. Mi siedo sul letto, non riuscirò a riprendere sonno prima che arrivi l'alba, ma sarà tardi, dovrò alzarmi per andare a scuola. Odio la mia scuola. Tutto così razionale, sempre identico. Storia del mondo, geografia fisica, le scienze (scienza A, un tempo chiamata matematica; e scienza B, prima conosciuta come scienze della natura), esperanto, poi latino e greco ogni tanto e la materia più importante, la materia suprema: Pace. Ripetitivo. Tutti i giorni le stesse materie, agli altri piace, dicono che non andiamo molto a scuola e quindi si accontentano. Per me è diverso, mi piacerebbe la scuola, penso, se solo fosse come quella dei miei nonni, mi hanno raccontato che loro studiavano tre lingue diverse, ora no. Dopo la terza Guerra Mondiale si parla solo l'esperanto, in tutto il mondo; e tutto è diventato come un'enorme macchina in cui tutti devono essere uguali. Per mantenere la pace, dicono, ma lo fanno perché così siamo più controllabili, credono di sapere ciò che pensiamo, ma non è cosi. Io, per esempio, ho i sogni e quelli non li possono controllare e poi penso, non parlo, ma penso e i miei pensieri non li conosce nessuno. Sono troppo fantasiosa, dicono così gli insegnanti:" la sua mente non è capace di... RAGIONARE LUCIDAMENTE". E invece credo di ragionare più lucidamente di chiunque qui, tranne gli anziani, loro sì che sanno cosa vuole dire ragionare, loro potevano dire quello che volevano a scuola. La nonna ha detto che facevano fare loro dei temi ogni settimana in cui esprimevano le loro opinioni, oppure inventavano storie! Ah come mi piacerebbe! E poi li facevano disegnare, e non figure geometriche o progetti scientifici, ma paesaggi, persone, animali; e cantavano e suonavano. Penso che mi piacerebbe cantare, l'unica cosa che ci è concesso cantare è l'inno, ma questo non è cantare perché non c'è la musica. Come vorrei che i miei sogni mi portassero nella scuola dei miei nonni! Penso, rimugino, ragiono e, come ero certa sarebbe accaduto, suonano le campane. Mi aspetta un'altra noiosa giornata. Una giornata come tutte le giornate di Omnemundo. La mia "città" che poi è tutto il mondo, oramai è una cosa sola. Tutto il mondo tranne un paese di cui proprio non so il nome. Io vivo nel dipartimento Romanorum, un tempo si chiamava Italia, la mia Urbe è la numero 3, una di quelle che stanno meglio, molte altre sono ridotte in condizioni pietose. Tutti predicano l'uguaglianza, ma in questo mondo di uguaglianza sociale e di giustizia ne vedo proprio poca. Eccomi. Sono di nuovo in ritardo. Devo correre di sotto, in cucina. La mia colazione mi aspetta, non è per niente invitante, una galletta energetica con una strana crema densa e giallastra di cui nessuno conosce gli ingredienti, ma d'altronde il cibo lo fornisce lo stato, come i vestiti e tutto ciò che è indispensabile, quindi dobbiamo accontentarci. La mamma urla: "NESSY! SBRIGATI A MANGIARE TRA DIECI MINUTI DEVI ESSERE A SCUOLA!"
Inizia bene la mattinata, le prime parole sono urla, proprio ciò che mi ci vuole per affrontare un giorno di noiose lezioni.
Mangio in fretta la colazione scarsa, ma equilibrata, poi mi infilo la divisa scolastica, mi piace. Non è come il resto, grigio, ha un bel colore. È tutta verde con strisce gialle e arancioni. Pantaloni stretti per le ragazze e tuta per i ragazzi. È adatta all'età degli studenti di Omnemundo. Sono pronta. Prendo la mia borsa con il tablet e mi preparo a correre per cercare di arrivare in tempo alla stazione e non perdere il treno. Scendo in salotto ed esco, o meglio mi tuffo fuori dalla porta di casa e corro. Corro per la strada evitando per un pelo un paio di auto-ibride che mi sfrecciano accanto senza emettere gas nocivi per l'ambiente: "tutto ciò che prima inquinava, è ora ecosostenibile", dicono sempre così, ma alla fine la coperta è comunque troppo corta, tiri da un lato e si scopre l'altro, per cui il pianeta non sta certo meglio, come noi del resto, anzi forse sta peggio, un po' come sembra che stia tutta la gente qui.
Corro giù dai gradini della stazione e sento il rumore familiare del treno. Speriamo stia arrivando e non sia appena partito. Si, si. Sento i freni che stridono, menomale; mi lancio in picchiata verso la biglietteria automatica passo la tessera dell'abbonamento e mi fiondo verso il treno che dovrebbe partire tra poco, pochissimo direi. Le porte iniziano a chiudersi. Non lo posso perdere. Mi affretto ed, alla fine, ma proprio all'ultimo, quando oramai è rimasto solo uno spiraglio di 15 centimetri riesco a gettarmi dentro tra le proteste della gente stipata a cui piombo addosso. Mi scuso e mi faccio strada tra la folla, ora mi resta solo da aspettare di raggiungere la fermata della mia scuola e lì troverò i miei amici, soprattutto Ginevra, magari lei saprà aiutarmi con il mio sogno. Lo spero. È l'unica che lo sa, l'unica di cui posso fidarmi in questo mondo di corrotti che fingono di desiderare la pace, ma in realtà vogliono solo il loro tornaconto. Sì lo so che se ci fosse qualcuno che legge nella mente, ora io sarei in tribunale e poi in qualche parte sperduta del globo a morire di stenti pentendomi dei miei pensieri. Già questo dimostra la crudeltà di questa gente. Repressione, punizioni, e poi lo chiamano bene comune.
Aspetto per un po' schiacciata dalla gente che, tutt'intorno a me cerca di restare in piedi nonostante i sobbalzi del treno. Stiamo andando tutti quanti nel centro dell'urbe, il Vicus numero 1. Vivendo nell'urbe 3 noi abbiamo solo 3 Vicus l'1, quello centrale, poi susseguendosi in cerchi concentrici il 2 ed il 3, più esterni. Tutti i servizi pubblici sono nel Vicus 1, dove mi sto dirigendo io, negli altri Vicus ci sono solo le scuole infantili e gli studi medici per il pronto soccorso, perché raggiungerli nel centro sarebbe davvero impensabile per i bambini piccoli o i malati. È tutta questione di comodità, di razionalità. Finora non hanno trovato nessuna soluzione migliore e, alla fine, questa non è poi tanto male, lascia libere dal traffico le zone abitate ed ingorga solo i Vicus 1.
Io vengo dal Vicus 2 e mi ci vuole un bel po' di tempo per arrivare a scuola. Circa mezz'ora, se riesco a prendere questo treno. Eccoci, mancano solo due fermate al mio arrivo. Inizio a guardare tra la folla per vedere se trovo qualcuno dei miei compagni, di sicuro non vedrò qui sopra Ginevra, eppure sono così impaziente che spero di essermi sempre sbagliata a credere che venisse dal Vicus 3. No, proprio non la vedo. In fondo alla mia carrozza c'è solo un gruppetto di ragazzi del 5°anello delle Scuole Formative. Ne conosco un paio, uno di loro è stato il ragazzo di Ginevra per qualche mese, ma non è finita bene. D'altronde le storie di Ginvy non finiscono mai bene! Tutto sommato mi va bene così, avere la mia migliore amica tutta per me, benchè abbia file di ragazzi ad aspettarla. Lo dice sempre che preferisce me anche a tutti i ragazzi del mondo e io le credo, perché per me è lo stesso. Devo smetterla di assopirmi e mettermi a pensare o rischierò di saltare la mia fermata. Eppure non ci riesco. Mi viene in mente una delle storie della nonna. Mi racconta spesso di com'era la scuola ai suoi tempi, le classi erano divise in modi diversi da ora: c'era la scuola materna; poi la scuola elementare, dalla prima alla quinta; la scuola media (di tre anelli); le scuole superiori, di tre o cinque anelli. Già anelli, che nome strano, la nonna spesso li chiama anni anche per la scuola... anni. Ma no. Anelli, come gli alberi, ogni anello è un corso che fai. Ma la scuola... ah si, alla fine, per chi voleva, c'era l'Università, mi piace questo nome Università. Mi ricorda l'universo, qualcosa di unico, non so, mi piace. Noi invece abbiamo un sistema un po' diverso, non troppo però. Si inizia la scuola a 4 anni, con la Scuola Infantile che dura per tre anelli, poi si passa alla Scuola Propedeutica, divisa in cinque anelli; in seguito si passa alla Scuola Formativa, la quale continua per sette anelli, ed infine, a seconda del mestiere che si sceglie, si può fare l'Accademia, che prepara al lavoro vero e proprio. Che noia, se penso che mi aspettano altri quattro anelli di Scuola Formativa prima di poter iniziare la mia carriera che, per quanto ignota, già mi attira molto più delle lezioni fondamentali.

Il Pericolo dei SogniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora